venerdì 26 agosto 2016

MITI MESSINESI - La “Lettera” della Madonna

di Felice Irrera

  1.      La mitologia tradizionale 


Sotto il nome di miti riguardanti Messina, qualcuno potrebbe pensare a quelli esistenti un po’ in tutte le città di antica fondazione del nostro Paese. Nel caso di Messina, come si sa, la nascita affonda nella notte dei tempi. Il mito greco racconta di Crono (il Saturno dei Romani), figlio di Urano (Cielo) e Gaia (Terra), che evira il padre, con un atto che simbolicamente rappresenta la separazione di cielo e terra, un motivo comune alle mitologie di varie parti del mondo. A questo punto, entra in gioco il mito locale relativo alla falce usata da Crono per evirare Urano, la quale, cadendo dal cielo sulla terra, avrebbe dato luogo allo straordinario porto di Messina: una tale origine, adombrata nel mito, sarebbe stata, però, in qualche modo, fatale per la città, in quanto Crono, temendo che altrettanto potessero fare i suoi figli con lui, non esitò ad eliminarli divorandoli. Sembra quasi lo stesso destino riservato alla città nata dalla falce parricida, creata da Crono e da lui, di tempo in tempo, fagocitata per sempre rinascere, ma con un destino che pare ineluttabile, poiché, nella sua storia plurimillenaria, ogni genere di avversità si è abbattuto su di essa. Così, il mito delle origini sembra ripetersi nell’arco dei secoli, segnando la vita del luogo e della comunità che vi è vissuta, in mezzo alle leggende di Scilla e Cariddi, in un territorio che annovera pure altri dei, come Vulcano ed Eolo, e poi le Sirene, i Ciclopi, i Giganti e la Fata Morgana; senza dimenticare Orione, immortalato dal Montorsoli nella fontana, voluta dai senatori messinesi del Cinquecento, di piazza Duomo, colui il quale, con grossi blocchi, consolidò la falce che dà riparo ai naviganti. In tempi più recenti, Colapesce, dotato della straordinaria capacità di percorrere velocemente, in lungo e in largo, ma anche in profondità il mare dello Stretto; per finire con Mata e Grifone.
Nel contesto mitico messinese, spicca, comunque soprattutto la figura di Nettuno, divinità dominante dell’antica Zancle, al quale erano dedicati numerosi templi e che, in fondo, unifica in sé le caratteristiche ditutti gli altri personaggi favolosi dello Stretto: fu lui, secondo il mito, a provocare, con un colpo del suo tridente, la separazione della Sicilia dalla Calabria.
Non a caso, le fonti ci tramandano che esistettero nel territorio messinese tre templi dedicati al dio Nettuno. Il primo, situato tra i laghi di Faro e Ganzirri, pare comprendesse ben quaranta colonne di granito poi, in parte, riutilizzate nella costruzione del Duomo dedicato a S. Maria la Nuova; il secondo era posto sulla cima del monte Antennammare; il terzo pare sorgesse nella zona occidentale del porto, nell’area che fu poi occupata dalla chiesa dell’Annunziata dei Catalani. Evidentemente non a caso, proprio Nettuno è il soggetto dell’altra fontana monumentale, posta oggi di fronte alla Prefettura, che il Senato messinese commissionò al Montorsoli, in cui il dio del mare, posto ben al di sopra dei due mostri incatenati di Scilla e Cariddi, pacato e saggio, garantisce alla città, verso la quale originariamente era girato, la sua protezione da ogni minaccia proveniente dal mare: lui, Nettuno, lo “scuotiterra”, il persecutore di Ulisse, che con un colpo del suo terribile tridente, separò l’isola dal continente, creando il vallo, il canale dello Stretto. L’arte celebra, dunque, opportunamente le bellezze di una città nata dal mare e, soprattutto, che viveva di mare.

2.      La “pia tradizione” della Lettera
E tuttavia il viaggiatore che, su uno dei pochi traghetti rimasti in servizio nello Stretto, entra nel porto di Messina, così carico di leggende e di storia, come già accaduto negli ultimi ottant’anni, più che notare il ben più basso artistico Nettuno del Montorsoli, vede subito farsi incontro, eretta all’ingresso del porto naturale, la colonna votiva (alta 60 m.) su cui si staglia la statua in bronzo della Madonna della Lettera, protettrice della città, la quale dovrebbe indicare il legame che unisce Messina e i Messinesi al culto mariano. Lungo il muro frontale che guarda la città, ben visibile, dunque, a chi arriva e parte da Messina è riportata la frase ricavata dalla famosa lettera: «VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMUS»[1].
Ora, la storia del culto della Madonna della Lettera nasce non da una leggenda, come quelle prima citate, ma da un vero e proprio falso storico, dato che, come dimostreremo, non ci fu mai alcun culto antico della Madonna della Lettera.
Il primo patrono di Messina fu San Nicola di Mira[2]; poi i Normanni, nell’XI secolo, gli accostarono una nuova patrona: Santa Maria detta “la Nuova”[3]. Solo dopo il 1611 si cominciò a parlare di “Madonna della Lettera” o “del Graffeo” come patrona di Messina[4], tant’è vero che tutte le immagini che conosciamo sono tardo-rinascimentali, barocche o più tarde[5]. In nessuna chiesa o monastero siciliano, da prima dell’arrivo dei Normanni sino al XVII secolo, c’è una dedicazione alla Lettera o al Graffeo; come non c’è, in tutto il mondo cristiano occidentale e orientale un’icona sacra dedicata alla Lettera. Eppure, il 3 giugno si celebra nella nostra città, con una grande festa cittadina, la Madonna della Lettera, colei che, a detta di tanti pseudo-studiosi di storia, è legata indissolubilmente a Messina.
Come nacque allora questa, che non è meno leggenda di quella del Nettuno?
Si racconta che nella primavera dell’anno 41 o 42 d. C., essendo Messina città di transito obbligato nel Mediterraneo, anche l’apostolo Paolo di Tarso, diversi anni dopo la morte di Gesù, invitato dai messinesi, venne e sbarcò a sei miglia di distanza dalla Città in quel punto della costa detto da allora in poi “Cala S. Paolo”, nei pressi di Giampilieri, proveniente da Reggio Calabria “dov'era giunto da Siracusa condotto verso Roma dal centurione Giulio” e dopo il suo naufragio a Malta: si cita in proposito come fonte lo storiografo Caio Domenico Gallo[6], che riporta come in tale località, nelle vicinanze di una chiesa dedicata allo stesso santo, un masso sormontato da una rudimentale croce di ferro indicherebbe il punto dove avrebbe sostato l'apostolo delle genti. Sarebbe stato proprio grazie a lui che i Messinesi si convertirono al cristianesimo, tanto che lo stesso Santo avrebbe ordinato vescovo il messinese Bacchilo. Paolo avrebbe parlato della vita di Gesù a tutte le genti di Messina, al ceto elevato e all'umile popolano senza distinzione, e i Messinesi sarebbero stati presi a tal punto dalla sua predicazione da convertirsi al Vangelo da lui predicato con slancio ed entusiasmo[7]. Il loro fervore religioso sarebbe cresciuto così rapidamente e a tal punto che molti avrebbero espresso il desiderio di visitare i luoghi santi, per conoscere la madre di Gesù, Maria, che era ancora vivente. Così, nell’anno 42 d. C. le avrebbero mandato un’ambasceria insieme allo stesso S. Paolo sulla medesima nave.  Giunti gli ambasciatori in Gerusalemme, ebbero in risposta dalla Madre di Gesù la seguente lettera scritta in ebraico e tradotta in latino nel 1490 dal greco-messinese Costantino Lascaris[8], si leggeva:

Maria Vergine, figlia di Gioacchino, umilissima serva di Dio, Madre di Gesù Cristo Crocifisso, della Tribù di Giuda, della stirpe di Davide, ai Messinesi tutti, salute e benedizione di Dio Padre Onnipotente. Consta per pubblico strumento che voi ci avete mandato legati e nunzi, e che già per le prediche di Paolo Apostolo vi è nota la via della verità, e che il figlio nostro, generato da Dio, si è fatto uomo, e dopo la sua resurrezione è salito al ciel, per la qual cosa. Benediciamo Voi e la Stessa Città, della quale vogliamo essere perpetua protettrice.  
L’anno di nostro figlio 42 in Gerusalemme Indizione 1 luna XXVII giorno di giovedì 3 di giugno.
Maria Vergine[9]

Si dice che la lettera fosse legata con alcuni capelli della Madonna, che da allora in poi vennero custoditi nella Cattedrale. Per questo fatto Maria sarebbe stata sempre venerata in Messina sotto il nome di Madonna della Lettera. Gli ambasciatori messinesi fecero ritorno in città l’8 settembre dello stesso anno. L’originale della Sacra Lettera sarebbe stato accuratamente nascosta dal Senato messinese quando prima l’imperatore Diocleziano e poi Massimino perseguitarono la religione cristiana. La lettera originale, sarebbe stata poi ritrovata nell’archivio pubblico nell’anno 430, ma poi, con i disastrosi terremoti che colpirono la città, se ne persero definitivamente le tracce. Il possesso di una reliquia di tale importanza suscitò le gelosie delle altre città siciliane che obiettavano sulla veridicità dei fatti affermando che il documento era stato realizzato da uno dei tanti dotti prelati bizantini che erano in città per favorire la supremazia della città dello Stretto. La lettera sarebbe poi scomparsa dai forzieri del Duomo di Messina e non si seppe dove fosse finita; ma si dice nel già citato anno 430 che lì era custodita perché a tale data Flavio Lucio Destro ne indica il ritrovamento[10]. Ma questi scrisse quando molti altri autori si erano cimentati nella storia della Chiesa, senza che nessuno di loro accennasse alla Lettera, che avrebbe costituito un evento così eccezionale da farne un argomento rilevante per la letteratura proto-cristiana e patristica: si sarebbe trovato l’episodio inserito nel Calendario liturgico ortodosso assieme a tanti altri eventi lì registrati; avrebbe avuto, insomma, notevole rilevanza nelle Chiese orientali. Fatto sta che non ce n’è traccia[11].

3.      Le prove del falso storico
Il fatto è che questa famigerata “Lettera” della Madonna è un grossolano falso storico, creato ad arte nel XV secolo. Lo dimostrano diversi elementi.
Innanzitutto, nessun documento iconografico, storico o religioso autentico cita la Lettera prima del 1490 (data in cui fu creata, probabilmente, da Costantino Lascaris)[12]. Sembra abbastanza ridicolo considerare una prova il riferimento alle “Choree di Modica”, cioè alle acclamazioni e alle frasi cantate raccolte quando il Gran Conte Ruggero liberò definitivamente la Sicilia dagli Arabi, intorno al 1060, ed entrò vincitore a Modica[13].
Almeno problematica, per la difficoltà di un’attribuzione vicina all’epoca dei “fatti” è la prova addotta da chi fa riferimento alla presenza nel Tesoro del Duomo di Messina di due antiche mazze in ferro su cui sono incise delle iscrizioni che chiedono la protezione alla Madre di Dio contro i Saraceni a conferma della sua antica promessa “epistola santissima nobis maxime adorata”[14].
Quanto all’evento accaduto nel gennaio del 1371, quando si abbatté sui merli della Chiesa di San Nicolò un fulmine che fece crollare parte della mura e, con grande scalpore, anche un grande spadone a due mani appartenuto a Giacomo Saccano che, insieme ad altri messinesi, era passato in Calabria ad invocare l’intervento del Gran Conte Ruggero per la liberazione della Sicilia[15], non ci sembra che le parole ritrovate incise sullo spadone (“Virgo Maria, Messane, tuae memento; fixi mater protectionis confirmatae memento; me libera famulum tuum Jacob Saccanum et Messanenses omnes qui indefexe pro fide S. pugnat”, cioè “O Vergine Maria, ricordati della Tua Messina; Madre del Crocifisso, ricordati della Tua Protezione confermata. Libera me, Giacomo Saccano, servo Tuo, e tutti i Messinesi che combattono indefessamente per la santa”) dimostrino nulla.
Non diverso è il discorso, per ovvi motivi, della “Canzona per l’epistola di Maria Vergine a’ Messinesi” di cui oggi conosciamo solo il titolo, scritta nel 1602 da Annibale Bufalo; o la “copia” della Sacra Lettera rintracciata nel 1608 nella Biblioteca di Bologna dall’Arcivescovo Alfonso Paletti; o il Decreto senatorio del 1636 col quale, a seguito dello scampato pericolo di un carestia, si sancisce definitivamente che la festa solenne della Madonna della Lettera deve cadere il 3 giugno di ogni anno. L’unica cosa che tutte queste testimonianze dimostrano è che la falsa lettera di Lascaris[16] aveva raggiunto il suo effetto e che la devozione per la Vergine si era per questo a Messina diffusa. Le testimonianze di ciò davvero non mancano[17].
Ma è poi la vicenda stessa della Lettera, narrata e rinarrata da tanti, una volta acquisito il falso di Lascaris, ad essere piena di incongruenze. Si sostiene che alcuni messinesi, i cui nomi sarebbero “Girolamo Origgiano, Marcello Benefacite, Centurione Mulè e Ottavio Brizio”, affascinati dalla “predicazione di San Paolo a Messina”, vollero seguirlo in Palestina, parlarono con Maria “Vergine figlia di Gioacchino” e ne ottennero quindi una lettera di benedizione datata “l’anno di nostro figlio 42”.  Ma, intanto, i nomi dei viaggiatori messinesi riportati non sono nomi greco-romani ma nomi del XV secolo, data della circolazione a Messina del primo falso della “lettera”: nessuno, nel I sec. d. C. avrebbe mai potuto chiamarsi Origgiano, Mulè o Benefacite. Poi, secondo gli stessi biblisti cattolici, San Paolo toccò lo Stretto di Messina intorno al 61 d. C., quindi circa 20 anni dopo la data sulla lettera; e, comunque, San Paolo non si fermò a Messina né a Giampilieri ma passò direttamente da Siracusa a Reggio[18]. Ancora. Maria figlia di Gioacchino, non avrebbe mai chiamato se stessa “Vergine” perché quell’appellativo, datole nei Vangeli, corrispondeva alla parola ebraica halamah (giovane donna in età da marito) che essa non poteva più essere a circa 60 anni. Né si può pensare all’altra verginità, quella dogmatica, che sarebbe arrivata dai teologi molti secoli dopo[19]. In nessuna fonte originale Maria chiama mai se stessa “Vergine”, ma al massimo “Serva”.
Infine, Maria non avrebbe mai datato la lettera al “42 dopo suo Figlio”. Avrebbe potuto usare il calendario ebraico o quello romano, ma non certo quello cristiano elaborato secoli e secoli dopo.

4.      Le vicende di una Lettera inesistente
Molto si sono affaticati i fautori dell’autenticità a spiegare la storia e le vicende alle quali sarebbe stata sottoposta una Lettera in realtà mai esistita. Fra le ipotesi di trafugamento P. Benedetto Chiarello riferisce che fu conservata per un certo tempo in un Ostensorio come Reliquia Sacra, e in tale stato era custodita da un certo Massimiliano al quale sarebbe stata sottratta con l’inganno e quindi bruciata[20].
Della Lettera riferisce pure Jean Houel che riprende la notizia da J.Y. De Burigny[21] quando scrive che la lettera “è stata conservata fino ai nostri giorni nel tabernacolo di questa Chiesa in cui fu devotamente posta e custodita con cura. Non crediamo che essa sia andata perduta nell’ultimo terremoto, essendo riuscita a scampare a tutti gli altri”. Salvino Greco afferma che “la tesi più accreditata, invece, è quella che pretende essere stata distrutta dal fuoco nell’incendio della Cattedrale del 1254 - durante la cerimonia funebre del re Corrado IV - o nel terremoto del 1693” e cita F. Goto, che scrive “come nel pubblico Tesoro de la città conservata si vede”[22].
La Curia di Roma, ai fedeli della Madonna della Lettera, concesse nel tempo diverse indulgenze, a firma di diversi papi quali Paolo V, Urbano VIII, Innocenzo X e vari altri fino a Pio IX nel 1870, al fine di comprovare l’autenticità del culto. Così ogni 3 giugno Messina ricorda l’episodio della consegna della Lettera portando in processione una statua d’argento della Vergine, che tiene in mano la Sacra Lettera. La statua è posta su una varetta, anch'essa d'argento, sulla quale vi è un reliquario bronzeo contenente i capelli con cui la Vergine legò la Lettera stessa[23]. Il corteo parte dalla Cattedrale e si snoda lungo le vie Cavour, Cannizzaro, Garibaldi, I Settembre per poi fare ritorno in Cattedrale. Alla Processione prendono parte tutte le Congregazioni Religiose e le Associazioni di Volontariato cittadine. Ecco perché, a conferma del legame che unirebbe Messina e i messinesi al culto mariano, è stata eretta all’ingresso del porto naturale la colonna votiva con la statua in bronzo dorato della Vergine di cui abbiamo detto.
L’origine del culto è, sulla base di quanto detto sopra, assolutamente falsa: eppure, si continua ad insistere su eventi ed episodi storici, i quali testimonierebbero la protezione perenne di Maria, madre di Gesù, nei confronti dei Messinesi; e gli eventi storici e geologici, spesso catastrofici, che hanno interessato questo lembo di terra di Sicilia sono citati solo per dimostrare che essi hanno sepolto o distrutto le prove della storicità di questa protezione, non per rendere del tutto inattendibile la protezione stessa: ma davvero per riconoscere il culto della Madonna a Messina c’è bisogno di questa Lettera?

5.      L’iconografia
Ma possiamo trovare pure altre prove dell’inattendibilità della Lettera in campo iconografico.
Gallo[24] narra che nella chiesa di S. Maria dell’Alto[25] c’era un’immagine di S. Maria del Letterio e che nella Cattedrale c’era una tavola con un’iscrizione greca così riportata: “La Veloce Ascoltatrice[26], anno 1585”. Tutte le rappresentazioni di tal genere hanno in comune dei dettagli: raffigurazione della Vergine di fronte, a mezzo busto e con un velo con le soprammaniche dei sacerdoti; Maria regge col braccio (destro o sinistro) il Bambino, che ha però le fattezze di un uomo e tiene nella mano sinistra un rotolo o il Vangelo, mentre con la destra benedice; la Vergine tende la mano verso il Bambino indicandolo ai fedeli e dando così il nome (“la Vergine che mostra la via”, cioè Cristo) all’icona. Ma la “Veloce Ascoltarice” presente nel Duomo di Messina (che poi è stata fatta diventare della Lettera) è un’immagine manieristica rinascimentale e mancano quei simboli di cui abbiamo detto: Cristo non regge il Vangelo, ma il mondo (simbolo del comando); il Bambino è un neonato; la Vergine non guarda il fedele e la sua mano, invece di indicare il figlio, sorregge il corpo del Bambino; anche gli abiti sono stravolti. Il motivo è che essa fu prodotta nel XVI secolo dai “Basiliani”[27] del SS. Salvatore di Messina[28]. Non si tratta, dunque, per niente di un’icona bizantina. In seguito, gli stessi Basiliani latinizzati stravolsero il nome e l’immagine dell’Odighitria[29], facendola diventare dell’Itria o Idria.
Francesco Susinno[30] cita cinque autori di opere con soggetto la Lettera: Placido Campagna (1641), Antonino Barbalonga (1601-1649), Giovanni Guagliata, Antonino Bova (1641-1701), Placido Celi (1702-?); ma riferisce anche di altri autori con opere dello stesso soggetto presenti sul territorio: Alonso Rodriquez (1578-1648), Andrea Quagliata, Antonio Catalano il Giovane (1585-1606) e Onofrio Gabrieli (1619-1706). Anche Giambattista Mazzeo (1534), che scolpì la statuetta della Vergine inserita nella lunetta della porta principale del Duomo non pose in mano a Maria la Lettera; né si trova nulla nelle absidi del Duomo pur rifatte più volte. Si usa citare anche le tante raffigurazioni della Madonna della Lettera, descritte dal gesuita messinese Padre Placido Samperi, nella sua Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina[31]. La prima raffigurazione è quella della Cappella del Palazzo del Senato, opera del pittore messinese Antonino Barbalonga, nella quale la Vergine, circondata da Angeli, è rappresentata mentre con la mano destra alzata benedice gli Ambasciatori, presentati da S. Paolo, e con la sinistra consegna loro la lettera. Un altro quadro si trova nella chiesa del Monastero di S. Paolo, dove è custodita e venerata: la Madonna vi è raffigurata non seduta in trono, ma in piedi mentre viene incontro agli ambasciatori per consegnare loro la lettera. Un quadro simile lo troviamo anche nella chiesa “de’ Fanciulli dispersi” cioè abbandonati, anch’essi raffigurati nel dipinto. Più interessante ed originale è l’immagine della Madonna della Lettera nella chiesa di S. Nicolò de’ Greci. Tra tanti quadri raffiguranti la Madonna, tutti antichi e sicuramente i più da restaurare, ve n’è uno restaurato dal pittore Paolo di Savoca, “il quale hauea ritoccato gli altri quadri, mosso dalla diuotione della Madonna (…) prese quella tauola (…); essendo il legname come la pittura antichissima (…) tutta tarlata e in parte scorticata nei colori (…). Hor hauendola il pittore ritoccata e dataci un poco di olio cotto, cominciò a suanire quella nuuoletta per tutto e a schiarirsi i colori, onde si scoprì nelle mani del puttino un cartoccio (…) nel quale si vedeuano scritte alcune lettere greche. Portò egli il quadro schiarito alla chiesa di S. Nicolò e al cappellano don Andrea lo consegnò, il quale vedendo quello scritto non si curò di leggerlo (…). Ma essendo osseruato dal dottor D. Leonardo Patè, professore della lingua greca nell’Università e Studio di quella città, leggendo, con qualche attenzione, quei caratteri, s’accorge ch’erano il principio della Lettera della Beata Vergine scritta ai Messinesi (…)[32]. La felice scoperta, avvenuta nel giorno di S. Caterina Alessandrina, il 25  novembre 1643 provocò il pianto del professore Patè e suscitò l’entusiasmo dei devoti[33]
Né si può portare come riprova dell’autenticità del culto il fatto che nella Terza Sala del Duomo, si conservi la “Manta d'Oro”, ovvero, il rivestimento del quadro della Madonna della Lettera, in oro cesellato da Innocenzo Mangani (1668) e poi arricchito da "ex voto" di altre pietre preziose.

6.      La conferma del “falso” e la fioritura delle opere sulla Lettera
In verità discussioni e dispute sulla Lettera non mancarono anche nel Settecento e molti dotti si impegnarono in dispute serrate per dimostrarne o negarne l'autenticità: naturalmente erano gli scrittori locali che con grande entusiasmo difendevano nelle loro pubblicazioni la “pia tradizione” contro coloro che erano contrari, magari solo per motivi campanilistici, alla sua autenticità. Poi, nel 1715, accadde che Pietro Minniti (o Menniti), generale dell'Ordine di San Basilio Magno[34], scoprì un codice arabo con caratteri siriaci nel quale era contenuta la lettera inviata da Maria ai Messinesi. La preziosità del codice, custodito da mons. Attanasio Safàr, vescovo di Mardin in Siria, al quale era stata donata dal Patriarca Ignazio di Antiochia, che riportava in calce la data 3 giugno dell'anno 42, fu subito intuita e nel 1716 esso venne affidato al maronita D. Giuseppe Assemanni, deputato della Santa Sede e interprete delle lingue orientali nella Biblioteca Vaticana, perché lo traducesse. Solo dopo la traduzione eseguita in Vaticano si scoprì di cosa si trattasse. Successivamente con grandi festeggiamenti questa autentica traduzione fu portata a Messina nel 1716 dal monaco basiliano Gregorio Arena e sembrò sancire ufficialmente la veridicità della Lettera per il fatto che il testo era molto simile a quello di Lascaris[35]. Caio Domenico Gallo ci descrive l'arrivo della delegazione che portò a Messina la traduzione del codice: "Un treno di più carrozze col tiro a quattro, accompagnato dalla nobiltà", e il ricevimento nell'aula del Senato, per la consegna del prezioso documento, debitamente autenticato da un "pubblico notaro del Campidoglio"[36]. Clero, Senato e popolo decisero allora che da quel momento in poi la festa della propria Patrona, la Madonna della Lettera, non venisse più celebrata l'8 settembre ma il 3 giugno, "data nella quale la Madonna aveva siglato la Sacra Lettera". Il testo, tradotto in latino, fu portato ai messinesi, "con le debite autentiche", dall'abate basiliano Don Gregorio Arena. Esso in calce riportava la data che fu assunta come punto di partenza della datazione storiografica[37]. Non ci sono, come si è già detto e qui si constata, significative differenze tra questo testo e quelli riportati da Samperi e Gallo sopra citati e ciò sembrò particolarmente importante, visto che il testo della lettera mariana era venuto alla luce quale era conosciuto nella tradizione messinese, quasi a confermarla[38].
In conseguenza di questa scoperta, a Roma, sul Gianicolo, nella chiesa di San Pietro in Montorio, il 2 maggio 1717 fu incoronata una immagine della Madonna della Lettera trasferita  nella chiesa da un’edicola  di strada in seguito ad una serie di eventi miracolosi: il quadro era stato dipinto da Nicolò Pomarancio agli inizi del 1500 e fatto asportare e trasferire in quel posto il 9 agosto 1714, a spese del papa Clemente XI ed a cura del Patriarchi. L'originale della Lettera, secondo un’antica tradizione[39] era contenuto in un rotolo.
Da allora, a Messina le opere sulla Lettera si susseguirono. Quella del Menniti[40], poi l’opera di Giuseppe Maria Perrimezzi (1670-1740)[41], poi ancora la ristampa dell’opera di Francesco Afflitto del 1647[42]; e così via. Ed ecco che per influsso della Lettera la storia di Messina si fa leggenda e Maria diviene, sempre e comunque, eterna protettrice di Messina e un’ininterrotta tradizione, inconsistente sul piano storico, l'ha riconosciuta e proclamata come propria difesa, anche nei momenti tristi della propria storia: ancora oggi molte persone in omaggio alla Madonna della Lettera vengono battezzate a Messina con il nome di Letterio, Letterio o Lillo, Letteria o Lìlla.

7.      La posizione della Chiesa e la realtà storica
La santa Sede non ha mancato, in varie circostanze, dopo qualche iniziale titubanza[43], di sostenere l’autenticità del culto alla Vergine della Lettera. A partire dal XVII secolo, infatti, si registrano indulgenze particolari concesse ai fedeli devoti al culto della Patrona di Messina da parte di numerosi Pontefici: Paolo V nel 1616, Urbano VIII nel 1626 e nel 1642, e poi Innocenzo X, Alessandro VII, Clemente IX, Clemente X, Innocenzo XI, Innocenzo XII, Innocenzo XIII, Pio IX nel 1870 e Paolo VI nel 1964. Benedetto XIII nei suoi “Sermoni Mariani” testualmente scriveva: “Tre lettere leggiamo quali scritte dalla Vergine: una a S. Ignazio Martire, patriarca di Antiochia, una ai Fiorentini, una ai Messinesi che a Lei si rivolsero mossi dalla predicazione di S. Paolo”. Nel 1954 a conclusione del Congresso Mariano Papa Pio XII rivolgendo un messaggio al popolo siciliano, lo esortava paternamente ad onorare il culto atavico dei Messinesi verso la Vergine Madre della Sacra Lettera.
Un massiccio movimento volto ad ampliare la devozione della Lettera, sostenuta dalla Chiesa di Roma con encicliche, opere letterarie, dipinti, ecc. ci fu, dunque, dal 1616 in poi: bisognava invogliare i fedeli al culto della Lettera[44]. Non c’è niente di più antico: né icone bizantine dei primi secoli, né un Tropario[45], né un Kontàkion[46], né un Canone[47] o un’Ode antica. Non c’è, lo ripetiamo, nel calendario liturgico delle Chiese ortodosse alcun riferimento a questa devozione. La stessa Chiesa di Roma, che ha attinto dal Sinassario[48] e dal Calendario ortodosso, non ha ereditato alcuna venerazione della Lettera e non l’ha mai inserita come festa.

Conclusione
Nonostante continuino ancora ai nostri giorni i tentativi di giornalisti e studiosi locali di dare consistenza storica alla “Lettera”[49], direttamente o inducendo il lettore all’errore con l’equivoco del culto mariano a Messina, che non ha affatto bisogno di un falso per essere dimostrato, il giudizio di due storici la cui serietà è indiscussa può essere quello definitivo.
Scrive Giuseppe Lipari: “Il culto della Madonna della Lettera a Messina (…) ripropone ad esempio il modello, già sperimentato con la vicenda di San Placido, di una gestione apertamente propagandistica di tradizione e fatti religiosi, ma si ricollega pure direttamente alla prospettiva culturale aperta dal volume di Alberto Piccolo (…). Si tratta in fondo di alimentare quel clima di esaltazione religiosa ritenuto indispensabile in una lotta che si prevede di lunga durata e di vasta portata (…). Questo orientamento (…) assume un carattere più marcato a partire dal 1636 con decreto senatorio che, dichiarando festa di precetto il 3 giugno (…) stabilisce precise modalità per lo svolgimento delle celebrazioni (…). Nato per consolidare l’egemonia nobiliare sulle diverse componenti della società messinese, il culto della Madonna della Lettera diventa ben presto lo strumento principale di un processo collettivo di riaffermazione della identità cittadina (…)”[50].
Questo il pensiero di Enrico Pispisa: “Nei secoli XVI e XVII il culto della Vergine della Lettera che, come si sa, era stato diffuso a partire dal Quattrocento con la presunta traduzione di C. Lascaris, acquistò nuovo vigore non solo perché, attraverso la sua affermazione, poteva essere combattuta con successo la lotta per la supremazia contro Palermo, ma anche e specialmente perché nuova e decisiva linfa gli veniva dall’impulso impresso alla devozione mariana dal Concilio di Trento e da tutto il movimento controriformista (…). La venerazione della Vergine diede l’esca ad un’intensissima attività tipografica (…). In effetti, il culto della Madonna della Lettera, tollerato e, entro certi limiti, incoraggiato dalla Chiesa, fu sempre inteso dalla Curia romana come forma importante di devozione alla Vergine, ma al contempo destituito di ogni fondamento storico: la famosa epistola, infatti, non è mai stata inserita fra gli scritti canonici”[51].
E intanto continua ad accogliere i naviganti dello Stretto la statua della Madonnina del Porto di Messina, alta sette metri, eseguita in bronzo dorato dallo scultore Tore Calabrò, inaugurata con una solenne cerimonia nel 1934 dal pontefice Pio XI che azionò da Roma il congegno, ideato e messo a punto da Guglielmo Marconi, con il quale si accesero le luci che illuminarono la stele, l'iscrizione sul muraglione del San Salvatore e l'aureola della Madonna.





Note

[1] La statua fu inaugurata il 2 agosto 1934, sotto l’arcivescovo Angelo Paino, e Papa Pio XI da Roma telecomandò l’accensione delle luci che illuminarono la stele, l’iscrizione e l’aureola della Madonna (recentemente, la statua della Madonna è stata restaurata e restituita allo splendore del bronzo dorato in occasione del giubileo del 2000 dall'Arcivescovo mons. Marra).
[2] Oggi il santo viene festeggiato a Ganzirri la seconda domenica d'agosto. La festa è caratterizzata da una spettacolare processione notturna di barche.
[3] A proposito di essa, Agostino Giuliano in un recente articolo (Una Significativa novità sulle origini del duomo di Messina, in “Archivio Storico Messinese, n° 93, 2012). riguardo alla più recente storiografia (S. Bottari, Il duomo di Messina, Messina 1929; E. Pispisa, La cattedrale di S. Maria e la città di Messina nel medioevo, in Medioevo fridericiano ed altri scritti, Messina 1999), propende per “una fondazione voluta da re Ruggero, intorno agli anni ’40 del sec. XII, ed una lunga gestazione sino al 21 settembre 1197 […] quando, alla presenza di Enrico VI e della moglie Costanza, il duomo viene consacrato dall’arcivescovo Berardo, come ci informa, tra gli altri, il Pirri (R. Pirri, Sicilia Sacra disquisitionibus et notis illustrata, con uno scritto di F. Giunta sul Pirri, ristampa anastatica dell’edizione palermitana del 1733, I, Sala Bolognese 1987). Sembrerebbe, comunque, che ai tempi di Guglielmo II, intorno al 1168, la chiesa fosse già costruita se quella “ecclesiam novam”, citata dallo pseudo-Falcando (U. Falcando, Liber de regno Siciliae, a cura di G.B. Siragusa, Roma 1897), in cui lo stratigò Andrea radunò il popolo messinese per dare lettura di alcune lettere reali, è identificabile con Santa Maria la Nova”.
[4] Si tratta anche in questo caso d’ignoranza o grossolana mistificazione perché “Graffeo” non significa “Lettera”, ma “scrivere” (da “Graphein”). I cristiani greci per utilizzare il termine “lettera”, “missiva”, dispaccio”, utilizzarono il termine “Epistola” (da “epistellein”=inviare una lettera) e infatti i primi cristiani, in riferimento alle lettere degli Apostoli, usarono il termine “Epistola”. Dunque, se il termine si fosse usato nel I secolo, anche quella della Vergine si sarebbe chiamata “Epistola”, in seguito latinizzata in “Littera” (e in italiano “Lettera”). Non ci sarebbe mai stata quindi una Madonna del “Graffeo”. Vero è che in ambienti ecclesiastici orientali esiste la venerazione alla “Vergine Maria del Graffeo”, ma ciò è in riferimento a tutt’altro episodio (Maria che firma a Nazareth il censimento”): in quest’ultimo caso il termine è corretto, alludendo alla Vergine che traccia la sua firma: invece, “Lettera” e “Graffeo” furono identificate!
[5] Del 1701 è il paliotto d’argento e rame dorato di Pietro e Francesco Juvara sull’altare maggiore del Duomo. Da notare che esistono in vari luoghi altre icone in cui la Vergine tiene un rotolo in mano, ma non si tratta della Lettera, bensì della Parola (Vecchio Testamento). Altre icone raffigurano la Vergine insieme a dei Santi inchinati davanti a lei, che tengono in mano una pergamena: anche questa simbologia (“Lode alla madre di Dio”) non ha nulla a che vedere con la Lettera.
[6] Gallo (1687-1780) fu autore di Annali della città di Messina (1756-1804).
[7] Come scrive Pantaleone Minutoli, Messina, città nobile e capitale di Sicilia, città federata di Roma, punto di confluenza tra le civiltà d’Oriente e di Occidente, porto dischiuso alle relazioni tra i commercianti provenienti dalla Spagna all’Egitto, da Cartagine all’Asia Minore, luogo in cui si parlavano le lingue più varie e maturava il pensiero dei filosofi di Grecia, di Roma e di Alessandria, non poteva certo restare ignara e indifferente all’idea nuova, annunciatrice di libertà, di giustizia, di uguaglianza e di fraternità universale (Cfr. Preghiere alla Santissima Vergine della Sacra della Lettera, Messina 1931, pp. 5-6).
[8] Nato a Costantinopoli e venuto in Italia dopo la rovina dell'impero d'oriente, Costantino Lascaris fu un erudito e dotto bizantino che portò l'insegnamento del Greco presso corti e cenobi di tutta la penisola. Giunto a Messina intorno al 1470 e ottenuta la benevolenza dei Messinesi e la cittadinanza onoraria, Lascaris ricambiò l'amicizia dimostratagli curandosi più volte della storia della nostra città. Il suo contributo più celebre è sicuramente il testo della “Lettera di Maria Vergine ai Messinesi”, simbolo supremo della devozione cattolica nostrana. Sebbene l'originale in greco di questa clamorosa missiva fosse andato “perduto” in circostanze mai chiarite, Lascaris ne avrebbe ritrovato una copia in un monastero alla periferia di Reggio Calabria e l'avrebbe tradotto come noi oggi lo conosciamo, ovvero un clamoroso e riconosciuto falso storico e teologico. Tra la fine del '400 e la prima metà del '500 moltissime furono le opere di storia riscritte e inventate a favore dei beni e della dottrina della Chiesa Latina. Vengono composte vite di santi e martiri mai esistiti, vengono falsificati diplomi e atti di cessione di beni agli enti ecclesiastici, viene riscritta la storia amministrativa e religiosa dell'Italia. Costantino Lascaris e Messina non si sottraggono a questo gioco: la Lettera della Madonna e altri documenti analoghi vennero realizzati con ogni probabilità nel monastero del San Salvatore (penisola di San Raineri) a maggior gloria del Papato e dei cattolici messinesi. Grazie al sostegno e alla propaganda del tempo, oltreché alle sue certe abilità letterarie, Lascaris inventò così leggende e tradizioni per l'amata Messina, falsificò la storia e creò paradossi insostenibili che hanno avuto molta più fortuna della verità ufficiale, finendo per essere oggi considerato, oltre che maestro di lettere greche, anche abile adulatore di vere e false glorie municipali. Nonostante questo saggio e accondiscendente falsario della storia sia poco conosciuto dai messinesi, il più grande riconoscimento resta comunque nel luogo simbolo della più clamorosa delle sue truffe: all'ingresso del porto, dove campeggia la sua benedizione verso la nostra città.
[9] Questo è il testo, sopra tradotto dal latino, di Placido Samperi (Messana illustrata, Messina 1742): MARIA VIRGO JOACHIM FILIA, DEI HUMILLIMA CHRISTI JESU CRUCIFIXI MATER, EX TRIBU JUDA, STIRPE DAVID, MESSANENSIBUS OMNIBUS SALUTEM, ET DEI PATRIS OMNIPOTENTIS BENEDICTIONEM Vos omnes Fide magna Legatos, ac Nuncios per publicum documentum ad nos misisse constat. Filium nostrum Dei Genitum, Deum, & Hominem esse fatemini, & in Caelum post suam Resurrectionem ascendisse, Pauli electi Praedicatione mediante, viam veritatis agnoscentes. Ob quod vos, & Ipsam civitatem benedicimus, cujus Perpetuam Protectricem Nos esse volumus.
Anno Fili nostri XLII. Ind. I. II. Nonas Junii, Luna XXVII. Feria V. ex Jerosolymis.
MARIA Virgo, quae supra confirmat praesens Chirographum manu propria.
Tale testo è uguale, esattamente, a quello di Caio Domenico Gallo (Annali della città di Messina, Napoli 1755, p. 94), che dice anche come la tradizione sia presente in numerosi altri autori come Incofer, Pirri, Paolo Belli, Samperi, Menniti, Perrimezzi ed altri.
[10] La testimonianza di Flavio Lucio Destro, scrittore spagnolo amico di San Girolamo, vissuto fra il VI ed il V secolo, è quella che dai cultori di storia locale, anche recentemente, è stata più citata. San Girolamo compose e dedicò a Destro la sua famosa opera sugli scrittori ecclesiastici, e lo stesso Destro dedicò il suo Chronicon Omnimodae Historiae a San Gerolamo. Proprio in tale opera, scritta nel 430, Flavio Lucio Destro parla della tradizione mariana messinese. In una prima occasione cita la festa solita a celebrarsi ogni anno a Messina per commemorare la missiva mariana: Apud Messanenses celebris est memoria beatae Mariae Virginia, missa prius ab eadem dulci epistola (“Presso i messinesi è celebre la ricordanza della Beata Vergine Maria, avendo essa spedito a loro una soave lettera”). In una seconda parte, ricorda che al suo tempo fu ritrovata nell’Archivio di Messina proprio una lettera scritta in ebraico dalla Vergine Maria agli stessi messinesi: Hoc tempore in Tabulario Messanensi reperta est quaendam Epistola, hebraice scripta, exarata a Beata Virgine ed eosdem Cives Messanenses et maximi ducitur (“Al tempo presente nell’Archivio Messinese fu trovata una Lettera, scritta in ebraico, inviata dalla Beata Vergine agli stessi cittadini messinesi, ed è molto venerata”). In realtà, l’opera attribuita a Destro è, a giudizio degli storici, un falso plateale: l’Enciclopedia Treccani, pur non dedicando, molto significativamente, una voce a Destro, giudica, indirettamente, falsa la sua Cronaca, quando attribuisce all’umanista spagnolo Rodrigo Caro la grave colpa di una difesa dell’autenticità di quell’opera. Ma soprattutto, nell’Ottocento, la Lettera mariana è inserita tra le iscrizioni siciliane falsae in quel monumento insigne della storiografia che è il Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), raccolta delle iscrizioni latine di tutto il mondo romano, pubblicata dall’Accademia di Berlino, opera iniziata nel 1863 sotto la guida di T. Mommsen.
[11] Né in Eusebio da Cesarea, storico e vescovo greco caposcuola della storiografia ecclesiastica, né in San Girolamo, né in Paolo Orosio.
[12] In verità, ci sarebbe il De habitationibus et nobilitatibus mundi, scritto dallo storico greco Orofane nell’ XI secolo, di cui fu scoperta una copia a Roma presso il Monastero di Santa Prassede nel 1563 e in cui l’autore parla della venuta di Paolo Apostolo a Reggio, del suo passaggio a Messina, della sua predicazione, della conversione dei cittadini, della partenza di ambasciatori da Messina verso la Madonna, del suo messaggio consegnato in lingua ebraica, messaggio tuttora custodito, dice, dalla città “sub Damusarii theatris”.
[13] In una di queste si afferma Almae lucis Pelorus priscis laetatur characteribus (“Il Peloro si rallegra di benefica luce per gli antichi caratteri”) e proprio in characteribus ci sarebbe il riferimento alle parole della Lettera di Maria Vergine.
[14] Tali iscrizioni risalirebbero (il condizionale è sempre d’obbligo) a prima del 1060 e la forma dei caratteri sembrerebbe simile a quelli della Corona Ferrea di Arginulfo che terminò di regnare nel 616. Le due mazze furono ritrovate nel 1733 da un certo Luciano Foti e poi Paolo Aglioti, membro dell’Accademia Peloritana con lo pseudonimo di Ardito, assegnò le armi al X-XII secolo. Jacopo Francesco de Quingles le attribuisce, invece, una tra il V ed il VI secolo e l’altra all’XI secolo. Una di queste mazze fu regalata dal ritrovatore al Senato di Messina e l’altra al Capitolo della Cattedrale. Sul fusto della corona della mazza data al Senato si legge la seguente preghiera: In nomine Patris ed Filii et Spiritus Sancti. Amen. / Virgo Maria, Iesu Christi Crucifixi Mater, / Libera Messanam Tuam a Saracenorum / Benedich nos et Armis protege sempre, / Sicut Protectiones et Benedit. S. approbasti / in Epistola SS. a nobis, maxime adorata / Dona nobis Victoriam contra inimic S. Fidei». In quella donata al Capitolo si legge: «In nomine SS. et individuae Trinitas. Amen / Virgo Maria Iesu Christi Crucifixi Mater, / Libera Messanam a Saracenorum Adventu, / Benedich no set Armis difende sempre, / Sicut in Epistola tua nos confirmasti. / Dona nobis auxilium et victoriam / Contra Saraceno set Fidei S. Exaltatio.
[15] Ne parla Giuseppe La Farina, Messina e i suoi monumenti, Messina 1840, p. 101.
[16] Di recente, in un libro sul Duomo di Messina (F. Malaspina, La Cattedrale di Messina, Messina 2008), ci si è chiesti, però, se “l’ideatore della tradizione della Lettera” non fosse stato Giovanni Gatto, un dotto domenicano messinese, poi vescovo di Cefalù e di Catania, morto nel 1484 mentre si trovava in città, piuttosto che il famoso Lascaris.
[17] Per citarne solo alcuni esempi, ricordiamo che nel 1632 il gesuita ungherese Melchior Inchofer (o Incofer) pubblica a Viterbo un’opera, Epistolae B.M.V. ad Messanenses veritas vindicata ac plurimis gravissimorum scriptorum testimoniis et rationibus erudite illustrata, la cui prima edizione, stampata proprio a Messina nel 1629, fu messa all’Indice, sintomo evidente che la stessa Chiesa ancora non era certa dell’autenticità delle origini del culto; nel 1634, a Messina, Benedetto Salvago scrive un’Apologia pro pietate Messanensium ex traditione repromissae protectionis in epistola B.M. Virginis adversum Rocchum Pirrum Netium per controbattere le tesi antitetiche del suddetto; al 1644 risale la monumentale opera del gesuita Placido Samperi, edita a Messina nel 1644, dal titolo Iconologia della Gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina. Del 1647 è il testo, stampato sempre a Messina, del gesuita Paolo Belli dal titolo Gloria Messanensium sive Epistola Deiparae Virginia scripta ad Messanenses dissertatio in duos libros distribuita.
[18] Conosciamo esattamente il percorso seguito da Paolo (Atti, 27, 1-28, 14). Imbarcatosi a Cesarea, seguì la tratta che costeggia Sidone e l’isola di Cipro, con trasbordo su una nave alessandrina a Mira, in Licia, e uno sbarco a Creta. L’approssimarsi della stagione invernale non impedì al suo gruppo di tentare l’approdo sulla costa meridionale d’Italia, ma una rovinosa tempesta spinse la nave a rifugiarsi a Malta, dove sostò per tre mesi sino all’arrivo della primavera. Poi, facendo tappa a Siracusa, Reggio Calabria nel 61 d. C. (Atti, 28, 13) e Pozzuoli, Paolo raggiunse Roma (Atti, 28, 15).
[19] Il primo Concilio ecumenico che parla esplicitamente della perpetua verginità di Maria è il Concilio Costantinopolitano II (553): «Prese carne dalla gloriosa Theotókos e sempre vergine Maria». La definizione dogmatica della perpetua verginità di Maria appartiene al Concilio Lateranense del 649, convocato da Papa Martino I. Questa definizione è infallibile e la perpetua verginità di Maria è quindi una verità di fede definita.
[20] Memorie Sacre, 1705. L’episodio, secondo lo stesso Chiarello, sarebbe attinto dall’opera già citata di Lucio Flavio Destro. Ma si tratta, comunque, di una tradizione impossibile in quanto il culto delle reliquie iniziò nell’anno 600 e queste erano riposte in teche e non in ostensori: in questi ultimi si esponeva solennemente l’Eucarestia per l’adorazione e questa fu introdotta da papa Onorio III nel 1220 e poi confermata dal Concilio di Trento (Sess. XIII, cap. V).
[21] J. Houel (1735-1813) pubblicò la sua opera, in quattro volumi, negli anni 1782-87 e ne esistono diverse traduzioni italiane più o meno parziali.
[22] Breve ragguaglio dell’invenzione e feste dei gloriosi martiri Placido e compagni, Messina, Fausto Bufalino 1591.
[23] Ci si chiede come sia possibile che nel Duomo di Messina si conservi ancora oggi in un reliquiario il capello della Madonna servito a legare la lettera: se questa fu sottratta, perché srotolarla e portarsela via lasciando il capello che si dice conservato? Dato, poi, che il reliquiario è del XVIII secolo, dove fu conservato il capello negli undici secoli precedenti?
[24] Cfr. Annali della città di Messina.
[25] Nei pressi della Caperrina.
[26] Per “Veloce Ascoltatrice” s’intendono le icone sacre della “Odighitria” o “Vergine che mostra la via” e sappiamo con sicurezza che furono i Bizantini a dare il titolo di “Odighitria” ad un’antichissima immagine della Vergine che si dice realizzata da S. Luca, che si trovava a Gerusalemme e fu inviata in dono nel 450 dall’ex imperatrice in esilio Eudossia alla nuova imperatrice Pulcheria, che, accoltala, le eresse una chiesa con annesso monastero.
[27] Samperi e Buonfiglio parlano impropriamente di monaci “basiliani” che nel XII secolo veneravano la Madonna del Graffeo: in realtà, allora i Basiliani non esistevano, in quanto nelle Chiese ortodosse vi è una sola spiritualità monastica, rivolta essenzialmente a Cristo, quindi vi è un unico Ordine, senza alcuna “regola”. I Basiliani nacquero nel giorno di Pentecoste del 1579 con la convocazione del capitolo generale della Congregazione del clero ortodosso d’Italia a san Filarete di Seminara, in Calabria, cui seguì, il 1° novembre dello stesso anno, la bolla di costituzione “Benedictus Dominus” di Gregorio XIII: chiamati definitivamente “Basiliani”, furono incamerati i loro patrimoni e trasformati di fatto i riti bizantini, l’arte e gli usi. Dunque, nacque come Congregazione e non come Ordine monastico, come viene oggi spacciato. Si spiega perché fu Congregazione: doveva comprendere monaci e presbiteri sposati, dato che un Ordine avrebbe potuto comprendere solo monaci celibi. In seguito, il 23 marzo 1635, papa Urbano VIII, con una bolla, cambiò la Congregazione in Eparchia (equivalente alla nostra Diocesi), dimenticandosi però di elevare l’Archimandrita a Vescovo, un errore mai corretto. Gli storici, non capendo la diversità, mescolarono i monaci basiliani-uniati, nati nel XVII secolo, con il clero ortodosso orientale  (libero di esercitare il proprio culto durante il dominio mussulmano, protetto dai Normanni che però ne incamerarono le proprietà appartenenti all’imperatore d’Oriente, ai Patriarchi di Costantinopoli e Alessandria e ai vescovi locali, restituendone poi l’uso ai monaci stessi; e dagli Svevi; e invece vessato e perseguitato dalla Chiesa di Roma dal XIV secolo in poi), presente sin dal IV secolo in Sicilia e Calabria e, stando al loro racconto, i monaci ortodossi scoprirono nel 1168 la venerazione alla Madonna del Graffeo.
[28] Si tratta del clero ortodosso-uniate, che si sottomise al papa di Roma, che per questo è lontano dalla tradizione e dalla simbologia primitiva.
[29] La Vergine “che mostra la via”. Secondo la tradizione, la Madre di Dio Odighitria è una delle tre icone dipinte dall'evangelista Luca quando la Vergine era ancora in vita, e dalla Terra Santa giunse a Costantinopoli nel V secolo.
[30] Cfr. F. Susinno, Vite de' pittori messinesi (testo, introduzione e note bibliografiche a cura di Valentino Martinelli), Firenze 1960 .
Susinno (1670-1739 ca.) scrive pure che “le opere dei pittori sono state fatte parallelamente alle opere letterarie”, il che ci fa pensare ad un massiccio “movimento” nel XVII secolo volto ad ampliare la devozione della Lettera a Messina. Ma nulla c’è invece né di Antonello da Messina, né, dopo di lui, di Polidoro da Caravaggio (1500-1546), né di Michelangelo Merisi, cioè del grande Caravaggio (1571-1619) e nemmeno dei tanti artisti che operarono in città tra il XIV e il XVI secolo.
[31] P. Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina, Messina 1644. L’immagine della Madre di Dio che ci presenta Samperi (e anche Buonfiglio) non è l’icona della “Odighitria”, anche se simile; e ci presenta come icona bizantina una pala come quella che si trova oggi sull’altare maggiore del Duomo di Messina, ricoperta da una manta.
[32] P. Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina, Messina 1644, p. 539.
[33] E la gelosia di altre città dovuta al fatto che Messina possedeva una reliquia di tale importanza, in particolare di Palermo che obiettava sulla veridicità della lettera. Per reazione, Palermo decise di adottare ben quattro sante come patrone: sant'Oliva, santa Ninfa, sant'Agata, usurpata ai Catanesi e santa Cristina. La polemica infervorò per secoli tra le due città siciliane e diverse furono le indulgenze concesse dalla Santa Sede ai fedeli della Madonna della Lettera (Paolo V, Urbano VIII, Innocenzo X e vari altri fino a Pio IX nel 1870) per comprovare l'autenticità del culto dei Peloritani.
[34] Anche su quest’ “Ordine” molto ci sarebbe da dire!
[35] Cfr. E. Mauceri, Messina nel Settecento, Milano 1924, pp. 82-83.
[36] Cfr. Gallo, op. cit., libro II.
[37] S. Greco così scrive: “I Messinesi presero a contare i secoli appunto dal giorno della ricezione della Lettera della Madonna, come risulta da una epigrafe esistente a Torre Archirafi, in provincia di Catania, dettata nel 1741 dal messinese Giuseppe Natoli" (Storia di Messina, 1979).
[38] In un libretto del 1965 composto da mons. Pantaleone Minutoli (Preghiere alla Santissima Vergine della Sacra Lettera), a p. 19, analogamente alle fonti principali, si dice così: “Fu precisamente nel 1716 che Messina accoglieva con manifestazioni pubbliche di giubilo…un dotto Basiliano, D. Gregorio Arena, proveniente da Roma con una traduzione, debitamente autenticata, della S. Lettera; traduzione fatta da un codice arabo, dietro interessamento dell’Abate D. Pietro Menniti. Le cose andarono così: mons. D. Attanasio Safàr, Vescovo di Mardin di Siria, possedeva un codice scritto in arabo, donatogli dal Patriarca Antiacheo Ignazio, contenente la Lettera della Madonna. Allora Menniti fece ricorso al nobile Maronita D. Giuseppe Assemanni, interprete di lingue orientali alla Biblioteca Vaticana ed ebbe così la traduzione dall’arabo della Lettera della Madonna: Lettera quasi del tutto simile a quella conosciuta dai Messinesi”. Segue nel libretto del Minutoli il testo latino, identico a quello riportato dal Mauceri (Messina nel Settecento, Milano 1924), con l’indicazione che si tratta della traduzione in latino, effettuata da D. Giuseppe Assemanni, del codice arabo posseduto dal vescovo Attanasio Safàr a cui era stato donato dal patriarca antiacheo Ignazio, portata a Messina da D. Gregorio Arena nel 1716, che è il seguente: Maria Virgo, Joachim et Annae filia, Humilis ancilla Domini, Mater Jesu Christi, qui est ex tribu Juda, et de stirpe David, Messanensibus omnibus salutem, et a Deo Patre Omnipotente Benedictionem. Per publicum documentum constat, Vos misisse ad Nos Nuncios, fide magna: Vos scilicet credere, Filium nostrum a deo genitum, esse Deum, et hominem, et post resurrectionem Suam ad coelum ascendisse; Vosque mediante Paulo Apostolo electo viam veritatis agnovisse. Propterea vos,  vestramque Civitatem benedicimus et protegimus eam in saecula saeculorum. Data fuit haec Epistola die quinta in Urbe Hierusalem a Maria Virgine cuius nomen supra, Anno XXXXII a Filio Eius, saeculo primo, Die 3 Juni, Luna XXVII.
[39] S. Correnti, La città sempre rifiorente, Catania 1976.
[40] P. Menniti, L’antica e pia tradizione della Sagra Lettera della Gran Madre di Dio sempre Vergine Maria scritta alla nobile ed esemplare città di Messina, Roma 1718 (poi Messina 1720).
[41] G. M. Perrimezzi, Difesa della Sagra Lettera scritta da Maria Vergine ai Messinesi, Messina 1730.
[42] Viaggio degli Ambasciatori di Messina mandati alla Gran Madre di Dio in Gerusalemme congetturato e contemplato da mente devota della Sacra Lettera, Messina 1647 (poi 1842).
[43] Si ricordi, ad esempio, l’opera del gesuita  Melchior Inchofer (Vienna 1585 - Milano 1648), che insegnò filosofia e teologia a Messina e, come già si è detto, si vide messa all’Indice dalla Chiesa la sua  Epistolae B. V. Mariae ad Messanenses veritas vindicata (1629) e chiamato a giustificare alcune delle tesi esposte nel suo scritto: ripubblicò, così, l'opera, riveduta e corretta, nel 1631.
[44] Chi ci rimise furono i Santi ortodossi siciliani, come San Nicandro e Santa Marina, tolti volutamente dalla circolazione per attirare i fedeli con la favola della Lettera. La curia messinese e i suoi storici (da Buonfiglio a Maurolico, a Samperi, a Gallo) crearono così ciò che mai ebbero prima del Trecento: una Messina (e una Sicilia) cattolico-romana.
[45] Brevi strofe di metro variabile, alla base di ogni composizione poetica liturgica.
[46] Composizione poetica liturgica.
[47] Insieme di inni della liturgia bizantina.
[48] Raccolta di Passioni e Vite, disposte giorno per giorno, da leggere durante l’Ufficiatura.
[49] Citiamo soltanto, tra i numerosi articoli, quelli di A. Saitta, Dalla lettera il culto per Maria, in “Gazzetta del Sud” 2/6/1978 (poi riprodotto il 3/6/1980 con la stessa firma);  di Eugenio Foti, in "Fratres in Unum" n° 1-2,  2008; e tralasciamo i tanti siti internet che riportano il mito sempre giovandosi dell’equivoco tra culto della Madonna e autenticità della Lettera.
[50] G. Lipari, Cultura, politica e società nella Messina del XVI secolo, prefazione alla Iconografia della Gloriosa Vergine Maria…di Placido Samperi (rist.), Messina 1991, Intilla Editore.
[51] E. Pispisa, L’Iconografia specchio di Messina barocca, prefazione alla Iconografia della Gloriosa Vergine Maria…di Placido Samperi (rist.), Messina 1991, Intilla Editore.


BIBLIOGRAFIA

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