di Felice Irrera
1.
La mitologia tradizionale
Sotto il nome di miti riguardanti
Messina, qualcuno potrebbe pensare a quelli esistenti un po’ in tutte le città
di antica fondazione del nostro Paese. Nel caso di Messina, come si sa, la
nascita affonda nella notte dei tempi. Il mito greco racconta di Crono (il
Saturno dei Romani), figlio di Urano (Cielo) e Gaia (Terra), che evira il
padre, con un atto che simbolicamente rappresenta la separazione di cielo e
terra, un motivo comune alle mitologie di varie parti del mondo. A questo
punto, entra in gioco il mito locale relativo alla falce usata da Crono per
evirare Urano, la quale, cadendo dal cielo sulla terra, avrebbe dato luogo allo
straordinario porto di Messina: una tale origine, adombrata nel mito, sarebbe
stata, però, in qualche modo, fatale per la città, in quanto Crono, temendo che
altrettanto potessero fare i suoi figli con lui, non esitò ad eliminarli
divorandoli. Sembra quasi lo stesso destino riservato alla città nata dalla
falce parricida, creata da Crono e da lui, di tempo in tempo, fagocitata per
sempre rinascere, ma con un destino che pare ineluttabile, poiché, nella sua
storia plurimillenaria, ogni genere di avversità si è abbattuto su di essa.
Così, il mito delle origini sembra ripetersi nell’arco dei secoli, segnando la
vita del luogo e della comunità che vi è vissuta, in mezzo alle leggende di
Scilla e Cariddi, in un territorio che annovera pure altri dei, come Vulcano ed
Eolo, e poi le Sirene, i Ciclopi, i Giganti e la Fata Morgana; senza
dimenticare Orione, immortalato dal Montorsoli nella fontana, voluta dai
senatori messinesi del Cinquecento, di piazza Duomo, colui il quale, con grossi
blocchi, consolidò la falce che dà riparo ai naviganti. In tempi più recenti,
Colapesce, dotato della straordinaria capacità di percorrere velocemente, in lungo
e in largo, ma anche in profondità il mare dello Stretto; per finire con Mata e
Grifone.
Nel contesto mitico messinese,
spicca, comunque soprattutto la figura di Nettuno, divinità dominante
dell’antica Zancle, al quale erano dedicati numerosi templi e che, in fondo,
unifica in sé le caratteristiche ditutti gli altri personaggi favolosi dello
Stretto: fu lui, secondo il mito, a provocare, con un colpo del suo tridente,
la separazione della Sicilia dalla Calabria.
Non a caso, le fonti ci
tramandano che esistettero nel territorio messinese tre templi dedicati al dio
Nettuno. Il primo, situato tra i laghi di Faro e Ganzirri, pare comprendesse
ben quaranta colonne di granito poi, in parte, riutilizzate nella costruzione
del Duomo dedicato a S. Maria la Nuova; il secondo era posto sulla cima del
monte Antennammare; il terzo pare sorgesse nella zona occidentale del porto,
nell’area che fu poi occupata dalla chiesa dell’Annunziata dei Catalani.
Evidentemente non a caso, proprio Nettuno è il soggetto dell’altra fontana
monumentale, posta oggi di fronte alla Prefettura, che il Senato messinese
commissionò al Montorsoli, in cui il dio del mare, posto ben al di sopra dei
due mostri incatenati di Scilla e Cariddi, pacato e saggio, garantisce alla
città, verso la quale originariamente era girato, la sua protezione da ogni
minaccia proveniente dal mare: lui, Nettuno, lo “scuotiterra”, il persecutore
di Ulisse, che con un colpo del suo terribile tridente, separò l’isola dal
continente, creando il vallo, il canale dello Stretto. L’arte celebra, dunque,
opportunamente le bellezze di una città nata dal mare e, soprattutto, che
viveva di mare.
2.
La “pia tradizione” della Lettera
E tuttavia il viaggiatore che, su
uno dei pochi traghetti rimasti in servizio nello Stretto, entra nel porto di
Messina, così carico di leggende e di storia, come già accaduto negli ultimi
ottant’anni, più che notare il ben più basso artistico Nettuno del Montorsoli,
vede subito farsi incontro, eretta all’ingresso del porto naturale, la colonna
votiva (alta 60 m.) su cui si staglia la statua in bronzo della Madonna della
Lettera, protettrice della città, la quale dovrebbe indicare il legame che
unisce Messina e i Messinesi al culto mariano. Lungo il muro frontale che
guarda la città, ben visibile, dunque, a chi arriva e parte da Messina è
riportata la frase ricavata dalla famosa lettera: «VOS ET IPSAM CIVITATEM
BENEDICIMUS»[1].
Ora, la storia del culto della
Madonna della Lettera nasce non da una leggenda, come quelle prima citate, ma
da un vero e proprio falso storico, dato che, come dimostreremo, non ci fu mai
alcun culto antico della Madonna della Lettera.
Il primo patrono di Messina fu
San Nicola di Mira[2]; poi i Normanni, nell’XI
secolo, gli accostarono una nuova patrona: Santa Maria detta “la Nuova”[3]. Solo dopo il 1611 si
cominciò a parlare di “Madonna della Lettera” o “del Graffeo” come patrona di
Messina[4], tant’è vero che tutte le
immagini che conosciamo sono tardo-rinascimentali, barocche o più tarde[5]. In nessuna chiesa o
monastero siciliano, da prima dell’arrivo dei Normanni sino al XVII secolo, c’è
una dedicazione alla Lettera o al Graffeo; come non c’è, in tutto il mondo
cristiano occidentale e orientale un’icona sacra dedicata alla Lettera. Eppure,
il 3 giugno si celebra nella nostra città, con una grande festa cittadina, la
Madonna della Lettera, colei che, a detta di tanti pseudo-studiosi di storia, è
legata indissolubilmente a Messina.
Come nacque allora questa, che
non è meno leggenda di quella del Nettuno?
Si racconta che nella primavera
dell’anno 41 o 42 d. C., essendo Messina città di transito obbligato nel
Mediterraneo, anche l’apostolo Paolo di Tarso, diversi anni dopo la morte di
Gesù, invitato dai messinesi, venne e sbarcò a sei miglia di distanza dalla
Città in quel punto della costa detto da allora in poi “Cala S. Paolo”, nei
pressi di Giampilieri, proveniente da Reggio Calabria “dov'era giunto da
Siracusa condotto verso Roma dal centurione Giulio” e dopo il suo naufragio a
Malta: si cita in proposito come fonte lo storiografo Caio Domenico Gallo[6], che riporta come in tale
località, nelle vicinanze di una chiesa dedicata allo stesso santo, un masso
sormontato da una rudimentale croce di ferro indicherebbe il punto dove avrebbe
sostato l'apostolo delle genti. Sarebbe stato proprio grazie a lui che i
Messinesi si convertirono al cristianesimo, tanto che lo stesso Santo avrebbe
ordinato vescovo il messinese Bacchilo. Paolo avrebbe parlato della vita di
Gesù a tutte le genti di Messina, al ceto elevato e all'umile popolano senza
distinzione, e i Messinesi sarebbero stati presi a tal punto dalla sua
predicazione da convertirsi al Vangelo da lui predicato con slancio ed
entusiasmo[7]. Il loro fervore religioso
sarebbe cresciuto così rapidamente e a tal punto che molti avrebbero espresso
il desiderio di visitare i luoghi santi, per conoscere la madre di Gesù, Maria,
che era ancora vivente. Così, nell’anno 42 d. C. le avrebbero mandato
un’ambasceria insieme allo stesso S. Paolo sulla medesima nave. Giunti gli ambasciatori in Gerusalemme,
ebbero in risposta dalla Madre di Gesù la seguente lettera scritta in ebraico e
tradotta in latino nel 1490 dal greco-messinese Costantino Lascaris[8], si leggeva:
Maria Vergine, figlia di
Gioacchino, umilissima serva di Dio, Madre di Gesù Cristo Crocifisso, della
Tribù di Giuda, della stirpe di Davide, ai Messinesi tutti, salute e
benedizione di Dio Padre Onnipotente. Consta per pubblico strumento che voi ci
avete mandato legati e nunzi, e che già per le prediche di Paolo Apostolo vi è
nota la via della verità, e che il figlio nostro, generato da Dio, si è fatto
uomo, e dopo la sua resurrezione è salito al ciel, per la qual cosa.
Benediciamo Voi e la Stessa Città, della quale vogliamo essere perpetua
protettrice.
L’anno di nostro figlio 42 in
Gerusalemme Indizione 1 luna XXVII giorno di giovedì 3 di giugno.
Maria Vergine[9]
Si dice che la lettera fosse
legata con alcuni capelli della Madonna, che da allora in poi vennero custoditi
nella Cattedrale. Per questo fatto Maria sarebbe stata sempre venerata in
Messina sotto il nome di Madonna della Lettera. Gli ambasciatori messinesi
fecero ritorno in città l’8 settembre dello stesso anno. L’originale della
Sacra Lettera sarebbe stato accuratamente nascosta dal Senato messinese quando
prima l’imperatore Diocleziano e poi Massimino perseguitarono la religione
cristiana. La lettera originale, sarebbe stata poi ritrovata nell’archivio
pubblico nell’anno 430, ma poi, con i disastrosi terremoti che colpirono la
città, se ne persero definitivamente le tracce. Il possesso di una reliquia di
tale importanza suscitò le gelosie delle altre città siciliane che obiettavano
sulla veridicità dei fatti affermando che il documento era stato realizzato da
uno dei tanti dotti prelati bizantini che erano in città per favorire la
supremazia della città dello Stretto. La lettera sarebbe poi scomparsa dai
forzieri del Duomo di Messina e non si seppe dove fosse finita; ma si dice nel
già citato anno 430 che lì era custodita perché a tale data Flavio Lucio Destro
ne indica il ritrovamento[10]. Ma questi scrisse quando
molti altri
autori si erano cimentati nella storia della Chiesa, senza che nessuno di loro
accennasse alla Lettera, che avrebbe costituito un evento così eccezionale da
farne un argomento rilevante per la letteratura proto-cristiana e patristica:
si sarebbe trovato l’episodio inserito nel Calendario liturgico ortodosso
assieme a tanti altri eventi lì registrati; avrebbe avuto, insomma, notevole
rilevanza nelle Chiese orientali. Fatto sta che non ce n’è traccia[11].
3.
Le prove del falso storico
Il fatto è che questa famigerata
“Lettera” della Madonna è un grossolano falso storico, creato ad arte nel XV
secolo. Lo dimostrano diversi elementi.
Innanzitutto, nessun documento
iconografico, storico o religioso autentico cita la Lettera prima del 1490
(data in cui fu creata, probabilmente, da Costantino Lascaris)[12]. Sembra abbastanza ridicolo
considerare una prova il riferimento alle “Choree di
Modica”, cioè alle acclamazioni e alle frasi cantate raccolte quando il Gran
Conte Ruggero liberò definitivamente la Sicilia dagli Arabi, intorno al 1060,
ed entrò vincitore a Modica[13].
Almeno problematica, per la
difficoltà di un’attribuzione vicina all’epoca dei “fatti” è la prova addotta
da chi fa riferimento alla presenza nel Tesoro del Duomo di Messina di due
antiche mazze in ferro su cui sono incise delle iscrizioni che chiedono la
protezione alla Madre di Dio contro i Saraceni a conferma della sua antica
promessa “epistola santissima nobis maxime adorata”[14].
Quanto all’evento accaduto nel
gennaio del 1371, quando si abbatté sui merli della Chiesa di San Nicolò un
fulmine che fece crollare parte della mura e, con grande scalpore, anche un
grande spadone a due mani appartenuto a Giacomo Saccano che, insieme ad altri
messinesi, era passato in Calabria ad invocare l’intervento del Gran Conte
Ruggero per la liberazione della Sicilia[15],
non ci sembra che le parole ritrovate incise sullo spadone (“Virgo Maria,
Messane, tuae memento; fixi mater protectionis confirmatae memento; me libera
famulum tuum Jacob Saccanum et Messanenses omnes qui indefexe pro fide S.
pugnat”, cioè “O Vergine Maria, ricordati della Tua Messina; Madre del
Crocifisso, ricordati della Tua Protezione confermata. Libera me, Giacomo
Saccano, servo Tuo, e tutti i Messinesi che combattono indefessamente per la
santa”) dimostrino nulla.
Non diverso è il discorso, per
ovvi motivi, della “Canzona per l’epistola di Maria Vergine a’ Messinesi” di
cui oggi conosciamo solo il titolo, scritta nel 1602 da Annibale Bufalo; o la
“copia” della Sacra Lettera rintracciata nel 1608
nella Biblioteca di Bologna dall’Arcivescovo Alfonso Paletti; o il Decreto
senatorio del 1636 col quale, a seguito dello scampato pericolo di un carestia,
si sancisce definitivamente che la festa solenne della Madonna della Lettera
deve cadere il 3 giugno di ogni anno. L’unica cosa che tutte queste
testimonianze dimostrano è che la falsa lettera di Lascaris[16] aveva raggiunto il suo
effetto e che la devozione per la Vergine si era per questo a Messina diffusa.
Le testimonianze di ciò davvero non mancano[17].
Ma è poi la vicenda stessa della
Lettera, narrata e rinarrata da tanti, una volta acquisito il falso di
Lascaris, ad essere piena di incongruenze. Si sostiene che alcuni messinesi, i
cui nomi sarebbero “Girolamo Origgiano, Marcello Benefacite, Centurione Mulè e
Ottavio Brizio”, affascinati dalla “predicazione di San Paolo a Messina”,
vollero seguirlo in Palestina, parlarono con Maria “Vergine figlia di
Gioacchino” e ne ottennero quindi una lettera di benedizione datata “l’anno di
nostro figlio 42”. Ma, intanto, i nomi dei viaggiatori messinesi
riportati non sono nomi greco-romani ma nomi del XV secolo, data della
circolazione a Messina del primo falso della “lettera”: nessuno, nel I sec. d.
C. avrebbe mai potuto chiamarsi Origgiano, Mulè o Benefacite. Poi, secondo gli
stessi biblisti cattolici, San Paolo toccò lo Stretto di Messina intorno al 61
d. C., quindi circa 20 anni dopo la data sulla lettera; e, comunque, San Paolo
non si fermò a Messina né a Giampilieri ma passò direttamente da Siracusa a
Reggio[18]. Ancora. Maria figlia di
Gioacchino, non avrebbe mai chiamato se stessa “Vergine” perché
quell’appellativo, datole nei Vangeli, corrispondeva alla parola ebraica halamah (giovane donna in età da marito)
che essa non poteva più essere a circa 60 anni. Né si può pensare all’altra
verginità, quella dogmatica, che sarebbe arrivata dai teologi molti secoli dopo[19]. In nessuna fonte originale
Maria chiama mai se stessa “Vergine”, ma al massimo “Serva”.
Infine, Maria non avrebbe mai
datato la lettera al “42 dopo suo Figlio”. Avrebbe potuto usare il calendario
ebraico o quello romano, ma non certo quello cristiano elaborato secoli e
secoli dopo.
4.
Le vicende di una Lettera
inesistente
Molto si sono affaticati i
fautori dell’autenticità a spiegare la storia e le vicende alle quali sarebbe
stata sottoposta una Lettera in realtà mai esistita. Fra le ipotesi di
trafugamento P. Benedetto Chiarello riferisce che fu conservata per un certo
tempo in un Ostensorio come Reliquia Sacra, e in tale stato era custodita da un
certo Massimiliano al quale sarebbe stata sottratta con l’inganno e quindi
bruciata[20].
Della Lettera riferisce pure Jean
Houel che riprende la notizia da J.Y. De Burigny[21]
quando scrive che la lettera “è stata conservata fino ai nostri giorni nel
tabernacolo di questa Chiesa in cui fu devotamente posta e custodita con cura.
Non crediamo che essa sia andata perduta nell’ultimo terremoto, essendo
riuscita a scampare a tutti gli altri”. Salvino Greco afferma che “la tesi
più accreditata, invece, è quella che pretende essere stata distrutta dal fuoco
nell’incendio della Cattedrale del 1254 - durante la cerimonia funebre del re
Corrado IV - o nel terremoto del 1693” e cita F. Goto, che scrive “come nel pubblico
Tesoro de la città conservata si vede”[22].
La Curia di Roma, ai fedeli della
Madonna della Lettera, concesse nel tempo diverse indulgenze, a firma di
diversi papi quali Paolo V, Urbano VIII, Innocenzo X e vari altri fino a Pio IX
nel 1870, al fine di comprovare l’autenticità del culto. Così ogni 3 giugno
Messina ricorda l’episodio della consegna della Lettera portando in processione
una statua d’argento della Vergine, che tiene in mano la Sacra Lettera. La
statua è posta su una varetta, anch'essa d'argento, sulla quale vi è un
reliquario bronzeo contenente i capelli con cui la Vergine legò la Lettera
stessa[23]. Il corteo parte dalla
Cattedrale e si snoda lungo le vie Cavour, Cannizzaro, Garibaldi, I Settembre
per poi fare ritorno in Cattedrale. Alla Processione prendono parte tutte le
Congregazioni Religiose e le Associazioni di Volontariato cittadine. Ecco perché,
a conferma del legame che unirebbe Messina e i messinesi al culto mariano, è
stata eretta all’ingresso del porto naturale la colonna votiva con la statua in
bronzo dorato della Vergine di cui abbiamo detto.
L’origine del culto è, sulla base
di quanto detto sopra, assolutamente falsa: eppure, si continua ad insistere su
eventi ed episodi storici, i quali testimonierebbero la protezione perenne di
Maria, madre di Gesù, nei confronti dei Messinesi; e gli eventi storici e
geologici, spesso catastrofici, che hanno interessato questo lembo di terra di
Sicilia sono citati solo per dimostrare che essi hanno sepolto o distrutto le
prove della storicità di questa protezione, non per rendere del tutto
inattendibile la protezione stessa: ma davvero per riconoscere il culto della
Madonna a Messina c’è bisogno di questa Lettera?
5.
L’iconografia
Ma possiamo trovare pure altre
prove dell’inattendibilità della Lettera in campo iconografico.
Gallo[24]
narra che nella chiesa di S. Maria dell’Alto[25]
c’era un’immagine di S. Maria del Letterio e che nella Cattedrale c’era una
tavola con un’iscrizione greca così riportata: “La Veloce Ascoltatrice[26], anno 1585”. Tutte le
rappresentazioni di tal genere hanno in comune dei dettagli: raffigurazione
della Vergine di fronte, a mezzo busto e con un velo con le soprammaniche dei
sacerdoti; Maria regge col braccio (destro o sinistro) il Bambino, che ha però
le fattezze di un uomo e tiene nella mano sinistra un rotolo o il Vangelo,
mentre con la destra benedice; la Vergine tende la mano verso il Bambino
indicandolo ai fedeli e dando così il nome (“la Vergine che mostra la via”,
cioè Cristo) all’icona. Ma la “Veloce Ascoltarice” presente nel Duomo di
Messina (che poi è stata fatta diventare della Lettera) è un’immagine
manieristica rinascimentale e mancano quei simboli di cui abbiamo detto: Cristo
non regge il Vangelo, ma il mondo (simbolo del comando); il Bambino è un
neonato; la Vergine non guarda il fedele e la sua mano, invece di indicare il
figlio, sorregge il corpo del Bambino; anche gli abiti sono stravolti. Il
motivo è che essa fu prodotta nel XVI secolo dai “Basiliani”[27] del SS. Salvatore di
Messina[28]. Non si tratta, dunque, per
niente di un’icona bizantina. In seguito, gli stessi Basiliani latinizzati
stravolsero il nome e l’immagine dell’Odighitria[29],
facendola diventare dell’Itria o Idria.
Francesco Susinno[30] cita cinque autori di opere
con soggetto la Lettera: Placido
Campagna (1641), Antonino Barbalonga (1601-1649), Giovanni Guagliata, Antonino
Bova (1641-1701), Placido Celi (1702-?); ma riferisce anche di altri autori con
opere dello stesso soggetto presenti sul territorio: Alonso Rodriquez
(1578-1648), Andrea Quagliata, Antonio Catalano il Giovane (1585-1606) e
Onofrio Gabrieli (1619-1706). Anche Giambattista Mazzeo (1534), che scolpì la
statuetta della Vergine inserita nella lunetta della porta principale del Duomo
non pose in mano a Maria la Lettera; né si trova nulla nelle absidi del Duomo
pur rifatte più volte. Si usa citare anche le tante raffigurazioni della
Madonna della Lettera, descritte dal gesuita messinese Padre Placido Samperi,
nella sua Iconologia della gloriosa
Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina[31].
La prima raffigurazione è quella della Cappella del Palazzo del Senato, opera
del pittore messinese Antonino Barbalonga, nella quale la Vergine, circondata
da Angeli, è rappresentata mentre con la mano destra alzata benedice gli
Ambasciatori, presentati da S. Paolo, e con la sinistra consegna loro la
lettera. Un altro quadro si trova nella chiesa del Monastero di S. Paolo, dove
è custodita e venerata: la Madonna vi è raffigurata non seduta in trono, ma in
piedi mentre viene incontro agli ambasciatori per consegnare loro la lettera.
Un quadro simile lo troviamo anche nella chiesa “de’ Fanciulli dispersi” cioè
abbandonati, anch’essi raffigurati nel dipinto. Più interessante ed originale è
l’immagine della Madonna della Lettera nella chiesa di S. Nicolò de’ Greci. Tra
tanti quadri raffiguranti la Madonna, tutti antichi e sicuramente i più da
restaurare, ve n’è uno restaurato dal pittore Paolo di Savoca, “il quale hauea
ritoccato gli altri quadri, mosso dalla diuotione della Madonna (…) prese
quella tauola (…); essendo il legname come la pittura antichissima (…) tutta
tarlata e in parte scorticata nei colori (…). Hor hauendola il pittore
ritoccata e dataci un poco di olio cotto, cominciò a suanire quella nuuoletta
per tutto e a schiarirsi i colori, onde si scoprì nelle mani del puttino un
cartoccio (…) nel quale si vedeuano scritte alcune lettere greche. Portò egli
il quadro schiarito alla chiesa di S. Nicolò e al cappellano don Andrea lo
consegnò, il quale vedendo quello scritto non si curò di leggerlo (…). Ma
essendo osseruato dal dottor D. Leonardo Patè, professore della lingua greca
nell’Università e Studio di quella città, leggendo, con qualche attenzione,
quei caratteri, s’accorge ch’erano il principio della Lettera della Beata
Vergine scritta ai Messinesi (…)[32]. La felice scoperta,
avvenuta nel giorno di S. Caterina Alessandrina, il 25 novembre 1643 provocò il pianto del
professore Patè e suscitò l’entusiasmo dei devoti[33].
Né si può portare come riprova
dell’autenticità del culto il fatto che nella Terza Sala del Duomo, si conservi
la “Manta d'Oro”, ovvero, il rivestimento del quadro della Madonna della
Lettera, in oro cesellato da Innocenzo Mangani (1668) e poi arricchito da
"ex voto" di altre pietre preziose.
6.
La conferma del “falso” e la
fioritura delle opere sulla Lettera
In verità discussioni e dispute
sulla Lettera non mancarono anche nel Settecento e molti dotti si impegnarono
in dispute serrate per dimostrarne o negarne l'autenticità: naturalmente erano
gli scrittori locali che con grande entusiasmo difendevano nelle loro
pubblicazioni la “pia tradizione” contro coloro che erano contrari, magari solo
per motivi campanilistici, alla sua autenticità. Poi, nel 1715, accadde che
Pietro Minniti (o Menniti), generale dell'Ordine di San Basilio Magno[34], scoprì un codice arabo con
caratteri siriaci nel quale era contenuta la lettera inviata da Maria ai
Messinesi. La preziosità del codice, custodito da mons. Attanasio Safàr,
vescovo di Mardin in Siria, al quale era stata donata dal Patriarca Ignazio di
Antiochia, che riportava in calce la data 3 giugno dell'anno 42, fu subito
intuita e nel 1716 esso venne affidato al maronita D. Giuseppe Assemanni,
deputato della Santa Sede e interprete delle lingue orientali nella Biblioteca
Vaticana, perché lo traducesse. Solo dopo la traduzione eseguita in Vaticano si
scoprì di cosa si trattasse. Successivamente con
grandi festeggiamenti questa autentica traduzione fu portata a Messina nel 1716
dal monaco basiliano Gregorio Arena e sembrò sancire ufficialmente la
veridicità della Lettera per il fatto che il testo era molto simile a quello di
Lascaris[35]. Caio
Domenico Gallo ci descrive l'arrivo della delegazione che portò a Messina la
traduzione del codice: "Un treno di più carrozze col tiro a quattro,
accompagnato dalla nobiltà", e il ricevimento nell'aula del Senato, per la
consegna del prezioso documento, debitamente autenticato da un "pubblico
notaro del Campidoglio"[36]. Clero, Senato e popolo
decisero allora che da quel momento in poi la festa della propria Patrona, la
Madonna della Lettera, non venisse più celebrata l'8 settembre ma il 3 giugno,
"data nella quale la Madonna aveva siglato la Sacra Lettera". Il
testo, tradotto in latino, fu portato ai messinesi, "con le debite
autentiche", dall'abate basiliano Don Gregorio Arena. Esso in calce
riportava la data che fu assunta come punto di partenza della datazione
storiografica[37]. Non ci
sono, come si è già detto e qui si constata, significative differenze tra
questo testo e quelli riportati da Samperi e Gallo sopra citati e ciò sembrò
particolarmente importante, visto che il testo della lettera mariana era venuto
alla luce quale era conosciuto nella tradizione messinese, quasi a confermarla[38].
In conseguenza di questa
scoperta, a Roma, sul Gianicolo, nella chiesa di San Pietro in Montorio, il 2
maggio 1717 fu incoronata una immagine della Madonna della Lettera
trasferita nella chiesa da un’edicola di strada in seguito ad una
serie di eventi miracolosi: il quadro era stato dipinto da Nicolò Pomarancio
agli inizi del 1500 e fatto asportare e trasferire in quel posto il 9 agosto 1714, a spese del papa
Clemente XI ed a cura del Patriarchi. L'originale della Lettera, secondo
un’antica tradizione[39] era contenuto in un rotolo.
Da allora, a Messina le opere
sulla Lettera si susseguirono. Quella del Menniti[40],
poi l’opera di Giuseppe Maria Perrimezzi (1670-1740)[41],
poi ancora la ristampa dell’opera di Francesco Afflitto del 1647[42]; e così via. Ed ecco che
per influsso della Lettera la storia di Messina si fa leggenda e Maria diviene,
sempre e comunque, eterna protettrice di Messina e un’ininterrotta tradizione,
inconsistente sul piano storico, l'ha riconosciuta e proclamata come propria
difesa, anche nei momenti tristi della propria storia: ancora oggi molte persone in omaggio alla Madonna della Lettera
vengono battezzate a Messina con il nome di Letterio, Letterio o Lillo,
Letteria o Lìlla.
7.
La posizione della Chiesa e la
realtà storica
La santa Sede non ha mancato, in
varie circostanze, dopo qualche iniziale titubanza[43],
di sostenere l’autenticità del culto alla Vergine della Lettera. A partire dal
XVII secolo, infatti, si registrano indulgenze particolari concesse ai fedeli
devoti al culto della Patrona di Messina da parte di numerosi Pontefici: Paolo
V nel 1616, Urbano VIII nel 1626 e nel 1642, e poi Innocenzo X, Alessandro VII,
Clemente IX, Clemente X, Innocenzo XI, Innocenzo XII, Innocenzo XIII, Pio IX
nel 1870 e Paolo VI nel 1964. Benedetto XIII nei suoi “Sermoni Mariani”
testualmente scriveva: “Tre lettere leggiamo quali scritte dalla Vergine: una a
S. Ignazio Martire, patriarca di Antiochia, una ai Fiorentini, una ai Messinesi
che a Lei si rivolsero mossi dalla predicazione di S. Paolo”. Nel 1954 a
conclusione del Congresso Mariano Papa Pio XII rivolgendo un messaggio al
popolo siciliano, lo esortava paternamente ad onorare il culto atavico dei
Messinesi verso la Vergine Madre della Sacra Lettera.
Un massiccio movimento volto ad
ampliare la devozione della Lettera, sostenuta dalla Chiesa di Roma con
encicliche, opere letterarie, dipinti, ecc. ci fu, dunque, dal 1616 in poi: bisognava
invogliare i fedeli al culto della Lettera[44].
Non c’è niente di più antico: né icone bizantine dei primi secoli, né un
Tropario[45], né un Kontàkion[46], né un Canone[47] o un’Ode antica. Non c’è,
lo ripetiamo, nel calendario liturgico delle Chiese ortodosse alcun riferimento
a questa devozione. La stessa Chiesa di Roma, che ha attinto dal Sinassario[48] e dal Calendario ortodosso,
non ha ereditato alcuna venerazione della Lettera e non l’ha mai inserita come
festa.
Conclusione
Nonostante continuino ancora ai
nostri giorni i tentativi di giornalisti e studiosi locali di dare consistenza
storica alla “Lettera”[49], direttamente o inducendo
il lettore all’errore con l’equivoco del culto mariano a Messina, che non ha
affatto bisogno di un falso per essere dimostrato, il giudizio di due storici
la cui serietà è indiscussa può essere quello definitivo.
Scrive Giuseppe Lipari: “Il culto
della Madonna della Lettera a Messina (…) ripropone ad esempio il modello, già
sperimentato con la vicenda di San Placido, di una gestione apertamente
propagandistica di tradizione e fatti religiosi, ma si ricollega pure
direttamente alla prospettiva culturale aperta dal volume di Alberto Piccolo
(…). Si tratta in fondo di alimentare quel clima di esaltazione religiosa
ritenuto indispensabile in una lotta che si prevede di lunga durata e di vasta
portata (…). Questo orientamento (…) assume un carattere più marcato a partire
dal 1636 con decreto senatorio che, dichiarando festa di precetto il 3 giugno
(…) stabilisce precise modalità per lo svolgimento delle celebrazioni (…). Nato
per consolidare l’egemonia nobiliare sulle diverse componenti della società
messinese, il culto della Madonna della Lettera diventa ben presto lo strumento
principale di un processo collettivo di riaffermazione della identità cittadina
(…)”[50].
Questo il pensiero di Enrico
Pispisa: “Nei secoli XVI e XVII il culto della Vergine della Lettera che, come
si sa, era stato diffuso a partire dal Quattrocento con la presunta traduzione
di C. Lascaris, acquistò nuovo vigore non solo perché, attraverso la sua
affermazione, poteva essere combattuta con successo la lotta per la supremazia
contro Palermo, ma anche e specialmente perché nuova e decisiva linfa gli
veniva dall’impulso impresso alla devozione mariana dal Concilio di Trento e da
tutto il movimento controriformista (…). La venerazione della Vergine diede
l’esca ad un’intensissima attività tipografica (…). In effetti, il culto della
Madonna della Lettera, tollerato e, entro certi limiti, incoraggiato dalla
Chiesa, fu sempre inteso dalla Curia romana come forma importante di devozione
alla Vergine, ma al contempo destituito di ogni fondamento storico: la famosa
epistola, infatti, non è mai stata inserita fra gli scritti canonici”[51].
E intanto continua ad accogliere
i naviganti dello Stretto la statua della Madonnina del Porto di
Messina, alta sette metri, eseguita in bronzo dorato dallo scultore Tore
Calabrò, inaugurata con una solenne cerimonia nel 1934 dal pontefice Pio XI che
azionò da Roma il congegno, ideato e messo a punto da Guglielmo Marconi, con il
quale si accesero le luci che illuminarono la stele, l'iscrizione sul
muraglione del San Salvatore e l'aureola della Madonna.
Note
[1] La statua fu inaugurata il 2 agosto 1934, sotto
l’arcivescovo Angelo Paino, e Papa Pio XI da Roma telecomandò l’accensione
delle luci che illuminarono la stele, l’iscrizione e l’aureola della Madonna
(recentemente, la statua della Madonna è stata restaurata e restituita allo
splendore del bronzo dorato in occasione del giubileo del 2000 dall'Arcivescovo
mons. Marra).
[2] Oggi
il santo viene festeggiato a Ganzirri la seconda domenica d'agosto. La festa è
caratterizzata da una spettacolare processione notturna di barche.
[3] A
proposito di essa, Agostino Giuliano in un recente articolo (Una Significativa novità sulle origini del
duomo di Messina, in “Archivio Storico Messinese, n° 93, 2012). riguardo
alla più recente storiografia (S. Bottari, Il
duomo di Messina, Messina 1929; E. Pispisa, La cattedrale di S. Maria e la città di Messina nel medioevo, in Medioevo fridericiano ed altri scritti,
Messina 1999), propende per “una fondazione voluta da re Ruggero, intorno agli
anni ’40 del sec. XII, ed una lunga gestazione sino al 21 settembre 1197 […]
quando, alla presenza di Enrico VI e della moglie Costanza, il duomo viene
consacrato dall’arcivescovo Berardo, come ci informa, tra gli altri, il Pirri
(R. Pirri, Sicilia Sacra disquisitionibus
et notis illustrata, con uno scritto di F. Giunta sul Pirri, ristampa
anastatica dell’edizione palermitana del 1733, I, Sala Bolognese 1987).
Sembrerebbe, comunque, che ai tempi di Guglielmo II, intorno al 1168, la chiesa
fosse già costruita se quella “ecclesiam novam”, citata dallo pseudo-Falcando
(U. Falcando, Liber de regno Siciliae,
a cura di G.B. Siragusa, Roma 1897), in cui lo stratigò Andrea radunò il popolo
messinese per dare lettura di alcune lettere reali, è identificabile con Santa
Maria la Nova”.
[4] Si
tratta anche in questo caso d’ignoranza o grossolana mistificazione perché
“Graffeo” non significa “Lettera”, ma “scrivere” (da “Graphein”). I cristiani
greci per utilizzare il termine “lettera”, “missiva”, dispaccio”, utilizzarono
il termine “Epistola” (da “epistellein”=inviare una lettera) e infatti i primi
cristiani, in riferimento alle lettere degli Apostoli, usarono il termine
“Epistola”. Dunque, se il termine si fosse usato nel I secolo, anche quella
della Vergine si sarebbe chiamata “Epistola”, in seguito latinizzata in
“Littera” (e in italiano “Lettera”). Non ci sarebbe mai stata quindi una
Madonna del “Graffeo”. Vero è che in ambienti ecclesiastici orientali esiste la
venerazione alla “Vergine Maria del Graffeo”, ma ciò è in riferimento a
tutt’altro episodio (Maria che firma a Nazareth il censimento”): in
quest’ultimo caso il termine è corretto, alludendo alla Vergine che traccia la
sua firma: invece, “Lettera” e “Graffeo” furono identificate!
[5] Del
1701 è il paliotto d’argento e rame dorato di Pietro e Francesco Juvara
sull’altare maggiore del Duomo. Da notare che esistono in vari luoghi altre
icone in cui la Vergine tiene un rotolo in mano, ma non si tratta della
Lettera, bensì della Parola (Vecchio Testamento). Altre icone raffigurano la
Vergine insieme a dei Santi inchinati davanti a lei, che tengono in mano una
pergamena: anche questa simbologia (“Lode alla madre di Dio”) non ha nulla a
che vedere con la Lettera.
[6] Gallo
(1687-1780) fu autore di Annali della
città di Messina (1756-1804).
[7] Come scrive Pantaleone Minutoli, Messina, città
nobile e capitale di Sicilia, città federata di Roma, punto di confluenza tra
le civiltà d’Oriente e di Occidente, porto dischiuso alle relazioni tra i
commercianti provenienti dalla Spagna all’Egitto, da Cartagine all’Asia Minore,
luogo in cui si parlavano le lingue più varie e maturava il pensiero dei
filosofi di Grecia, di Roma e di Alessandria, non poteva certo restare ignara e
indifferente all’idea nuova, annunciatrice di libertà, di giustizia, di
uguaglianza e di fraternità universale (Cfr. Preghiere alla Santissima Vergine della Sacra della Lettera,
Messina 1931, pp. 5-6).
[8] Nato a Costantinopoli e venuto in Italia dopo la
rovina dell'impero d'oriente, Costantino Lascaris fu un erudito e dotto
bizantino che portò l'insegnamento del Greco presso corti e cenobi di tutta la
penisola. Giunto a Messina intorno al 1470 e ottenuta la benevolenza dei
Messinesi e la cittadinanza onoraria, Lascaris ricambiò l'amicizia
dimostratagli curandosi più volte della storia della nostra città. Il suo contributo
più celebre è sicuramente il testo della “Lettera di Maria Vergine ai
Messinesi”, simbolo supremo della devozione cattolica nostrana. Sebbene
l'originale in greco di questa clamorosa missiva fosse andato “perduto” in
circostanze mai chiarite, Lascaris ne avrebbe ritrovato una copia in un
monastero alla periferia di Reggio Calabria e l'avrebbe tradotto come noi oggi
lo conosciamo, ovvero un clamoroso e riconosciuto falso storico e teologico.
Tra la fine del '400 e la prima metà del '500 moltissime furono le opere di
storia riscritte e inventate a favore dei beni e della dottrina della Chiesa
Latina. Vengono composte vite di santi e martiri mai esistiti, vengono
falsificati diplomi e atti di cessione di beni agli enti ecclesiastici, viene
riscritta la storia amministrativa e religiosa dell'Italia. Costantino Lascaris
e Messina non si sottraggono a questo gioco: la Lettera della Madonna e altri
documenti analoghi vennero realizzati con ogni probabilità nel monastero del
San Salvatore (penisola di San Raineri) a maggior gloria del Papato e dei
cattolici messinesi. Grazie al sostegno e alla propaganda del tempo, oltreché
alle sue certe abilità letterarie, Lascaris inventò così leggende e tradizioni
per l'amata Messina, falsificò la storia e creò paradossi insostenibili che
hanno avuto molta più fortuna della verità ufficiale, finendo per essere oggi
considerato, oltre che maestro di lettere greche, anche abile adulatore di vere
e false glorie municipali. Nonostante questo saggio e accondiscendente falsario
della storia sia poco conosciuto dai messinesi, il più grande riconoscimento
resta comunque nel luogo simbolo della più clamorosa delle sue truffe:
all'ingresso del porto, dove campeggia la sua benedizione verso la nostra
città.
[9] Questo è il testo, sopra tradotto dal latino, di
Placido Samperi (Messana illustrata,
Messina 1742): MARIA VIRGO JOACHIM FILIA,
DEI HUMILLIMA CHRISTI JESU CRUCIFIXI MATER, EX TRIBU JUDA, STIRPE DAVID,
MESSANENSIBUS OMNIBUS SALUTEM, ET DEI PATRIS OMNIPOTENTIS BENEDICTIONEM Vos
omnes Fide magna Legatos, ac Nuncios per publicum documentum ad nos misisse
constat. Filium nostrum Dei Genitum,
Deum, & Hominem esse fatemini, & in Caelum post suam Resurrectionem
ascendisse, Pauli electi Praedicatione mediante, viam veritatis agnoscentes. Ob
quod vos, & Ipsam civitatem benedicimus, cujus Perpetuam Protectricem Nos
esse volumus.
Anno
Fili nostri XLII. Ind. I. II. Nonas Junii, Luna XXVII. Feria V. ex Jerosolymis.
MARIA
Virgo, quae supra confirmat praesens Chirographum manu propria.
Tale
testo è uguale, esattamente, a quello di Caio Domenico Gallo (Annali della città di Messina, Napoli
1755, p. 94), che dice anche come la tradizione sia presente in numerosi altri
autori come Incofer, Pirri, Paolo Belli, Samperi, Menniti, Perrimezzi ed altri.
[10] La testimonianza di Flavio Lucio Destro, scrittore
spagnolo amico di San Girolamo, vissuto fra il VI ed il V secolo, è quella che
dai cultori di storia locale, anche recentemente, è stata più citata. San
Girolamo compose e dedicò a Destro la sua famosa opera sugli scrittori
ecclesiastici, e lo stesso Destro dedicò il suo Chronicon Omnimodae Historiae a San Gerolamo. Proprio in tale
opera, scritta nel 430, Flavio Lucio Destro parla della tradizione mariana
messinese. In una prima occasione cita la festa solita a celebrarsi ogni anno a
Messina per commemorare la missiva mariana: Apud
Messanenses celebris est memoria beatae Mariae Virginia, missa prius ab eadem
dulci epistola (“Presso i messinesi è celebre la ricordanza della Beata
Vergine Maria, avendo essa spedito a loro una soave lettera”). In una seconda
parte, ricorda che al suo tempo fu ritrovata nell’Archivio di Messina proprio
una lettera scritta in ebraico dalla Vergine Maria agli stessi messinesi: Hoc tempore in Tabulario Messanensi reperta
est quaendam Epistola, hebraice scripta, exarata a Beata Virgine ed eosdem
Cives Messanenses et maximi ducitur (“Al tempo presente nell’Archivio
Messinese fu trovata una Lettera, scritta in ebraico, inviata dalla Beata
Vergine agli stessi cittadini messinesi, ed è molto venerata”). In realtà,
l’opera attribuita a Destro è, a giudizio degli storici, un falso plateale:
l’Enciclopedia Treccani, pur non dedicando, molto significativamente, una voce
a Destro, giudica, indirettamente, falsa la sua Cronaca, quando attribuisce all’umanista spagnolo Rodrigo Caro la
grave colpa di una difesa dell’autenticità di quell’opera. Ma soprattutto, nell’Ottocento, la Lettera
mariana è inserita tra le iscrizioni siciliane falsae in quel monumento insigne
della storiografia che è il Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), raccolta delle iscrizioni latine di tutto il mondo romano,
pubblicata dall’Accademia di Berlino, opera iniziata nel 1863 sotto la guida di T. Mommsen.
[11] Né
in Eusebio da Cesarea, storico e vescovo greco caposcuola della storiografia
ecclesiastica, né in San Girolamo, né in Paolo Orosio.
[12] In
verità, ci sarebbe il De habitationibus
et nobilitatibus mundi, scritto dallo storico greco Orofane nell’ XI secolo,
di cui fu scoperta una copia a Roma presso il Monastero di Santa Prassede nel
1563 e in cui l’autore parla della venuta di Paolo Apostolo a Reggio, del suo
passaggio a Messina, della sua predicazione, della conversione dei cittadini,
della partenza di ambasciatori da Messina verso la Madonna, del suo messaggio
consegnato in lingua ebraica, messaggio tuttora custodito, dice, dalla città
“sub Damusarii theatris”.
[13] In
una di queste si afferma Almae lucis
Pelorus priscis laetatur characteribus (“Il Peloro si rallegra di benefica
luce per gli antichi caratteri”) e proprio in characteribus ci sarebbe il riferimento alle parole della Lettera di Maria Vergine.
[14] Tali
iscrizioni risalirebbero (il condizionale è sempre d’obbligo) a prima del 1060
e la forma dei caratteri sembrerebbe simile a quelli della Corona Ferrea di
Arginulfo che terminò di regnare nel 616. Le due mazze furono ritrovate nel
1733 da un certo Luciano Foti e poi Paolo Aglioti, membro dell’Accademia
Peloritana con lo pseudonimo di Ardito, assegnò le armi al X-XII secolo. Jacopo
Francesco de Quingles le attribuisce, invece, una tra il V ed il VI secolo e
l’altra all’XI secolo. Una di queste mazze fu regalata dal ritrovatore al
Senato di Messina e l’altra al Capitolo della Cattedrale. Sul fusto della
corona della mazza data al Senato si legge la seguente preghiera: In nomine Patris ed Filii et Spiritus
Sancti. Amen. / Virgo Maria, Iesu Christi Crucifixi Mater, / Libera Messanam
Tuam a Saracenorum / Benedich nos et Armis protege sempre, / Sicut Protectiones
et Benedit. S. approbasti / in Epistola SS. a nobis, maxime adorata / Dona
nobis Victoriam contra inimic S. Fidei». In quella donata al Capitolo si legge:
«In nomine SS. et individuae Trinitas. Amen / Virgo Maria Iesu Christi
Crucifixi Mater, / Libera Messanam a Saracenorum Adventu, / Benedich no set
Armis difende sempre, / Sicut in Epistola tua nos confirmasti. / Dona nobis
auxilium et victoriam / Contra Saraceno set Fidei S. Exaltatio.
[15] Ne
parla Giuseppe La Farina, Messina e i
suoi monumenti, Messina 1840, p. 101.
[16] Di recente, in un libro sul Duomo di Messina (F.
Malaspina, La Cattedrale di Messina, Messina 2008), ci si è chiesti,
però, se “l’ideatore della tradizione della Lettera” non fosse stato Giovanni
Gatto, un dotto domenicano messinese, poi vescovo di Cefalù e di Catania, morto
nel 1484 mentre si trovava in città, piuttosto che il famoso Lascaris.
[17] Per
citarne solo alcuni esempi, ricordiamo che nel 1632 il gesuita ungherese
Melchior Inchofer (o Incofer) pubblica a Viterbo un’opera, Epistolae B.M.V. ad Messanenses veritas vindicata ac plurimis
gravissimorum scriptorum testimoniis et rationibus erudite illustrata, la
cui prima edizione, stampata proprio a Messina nel 1629, fu messa all’Indice,
sintomo evidente che la stessa Chiesa ancora non era certa dell’autenticità
delle origini del culto; nel 1634, a Messina, Benedetto Salvago scrive un’Apologia pro pietate Messanensium ex
traditione repromissae protectionis in epistola B.M. Virginis adversum Rocchum
Pirrum Netium per controbattere le tesi antitetiche del suddetto; al 1644
risale la monumentale opera del gesuita Placido Samperi, edita a Messina nel
1644, dal titolo Iconologia della
Gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina. Del 1647 è il
testo, stampato sempre a Messina, del gesuita Paolo Belli dal titolo Gloria Messanensium sive Epistola Deiparae
Virginia scripta ad Messanenses dissertatio in duos libros distribuita.
[18]
Conosciamo esattamente il percorso seguito da Paolo (Atti, 27, 1-28, 14). Imbarcatosi a Cesarea, seguì la tratta che
costeggia Sidone e l’isola di Cipro, con trasbordo su una nave alessandrina a
Mira, in Licia, e uno sbarco a Creta. L’approssimarsi della stagione invernale
non impedì al suo gruppo di tentare l’approdo sulla costa meridionale d’Italia,
ma una rovinosa tempesta spinse la nave a rifugiarsi a Malta, dove sostò per
tre mesi sino all’arrivo della primavera. Poi, facendo tappa a Siracusa, Reggio
Calabria nel 61 d. C. (Atti, 28, 13)
e Pozzuoli, Paolo raggiunse Roma (Atti,
28, 15).
[19] Il primo Concilio ecumenico che parla esplicitamente
della perpetua verginità di Maria è il Concilio Costantinopolitano II (553):
«Prese carne dalla gloriosa Theotókos e sempre vergine Maria». La definizione
dogmatica della perpetua verginità di Maria appartiene al Concilio Lateranense
del 649, convocato da Papa Martino I. Questa definizione è infallibile e la
perpetua verginità di Maria è quindi una verità di fede definita.
[20] Memorie Sacre, 1705. L’episodio, secondo
lo stesso Chiarello, sarebbe attinto dall’opera già citata di Lucio Flavio
Destro. Ma si tratta, comunque, di una tradizione impossibile in quanto il
culto delle reliquie iniziò nell’anno 600 e queste erano riposte in teche e non
in ostensori: in questi ultimi si esponeva solennemente l’Eucarestia per l’adorazione
e questa fu introdotta da papa Onorio III nel 1220 e poi confermata dal
Concilio di Trento (Sess. XIII, cap. V).
[21] J.
Houel (1735-1813) pubblicò la sua opera, in quattro volumi, negli anni 1782-87
e ne esistono diverse traduzioni italiane più o meno parziali.
[22] Breve ragguaglio dell’invenzione e feste dei
gloriosi martiri Placido e compagni, Messina, Fausto Bufalino 1591.
[23] Ci
si chiede come sia possibile che nel Duomo di Messina si conservi ancora oggi
in un reliquiario il capello della Madonna servito a legare la lettera: se
questa fu sottratta, perché srotolarla e portarsela via lasciando il capello
che si dice conservato? Dato, poi, che il reliquiario è del XVIII secolo, dove
fu conservato il capello negli undici secoli precedenti?
[24] Cfr.
Annali della città di Messina.
[25] Nei
pressi della Caperrina.
[26] Per
“Veloce Ascoltatrice” s’intendono le icone sacre della “Odighitria” o “Vergine
che mostra la via” e sappiamo con sicurezza che furono i Bizantini a dare il
titolo di “Odighitria” ad un’antichissima immagine della Vergine che si dice
realizzata da S. Luca, che si trovava a Gerusalemme e fu inviata in dono nel
450 dall’ex imperatrice in esilio Eudossia alla nuova imperatrice Pulcheria,
che, accoltala, le eresse una chiesa con annesso monastero.
[27] Samperi
e Buonfiglio parlano impropriamente di monaci “basiliani” che nel XII secolo
veneravano la Madonna del Graffeo: in realtà, allora i Basiliani non
esistevano, in quanto nelle Chiese ortodosse vi è una sola spiritualità
monastica, rivolta essenzialmente a Cristo, quindi vi è un unico Ordine, senza
alcuna “regola”. I Basiliani nacquero nel giorno di Pentecoste del 1579 con la
convocazione del capitolo generale della Congregazione del clero ortodosso
d’Italia a san Filarete di Seminara, in Calabria, cui seguì, il 1° novembre
dello stesso anno, la bolla di costituzione “Benedictus Dominus” di Gregorio
XIII: chiamati definitivamente “Basiliani”, furono incamerati i loro patrimoni
e trasformati di fatto i riti bizantini, l’arte e gli usi. Dunque, nacque come
Congregazione e non come Ordine monastico, come viene oggi spacciato. Si spiega
perché fu Congregazione: doveva comprendere monaci e presbiteri sposati, dato
che un Ordine avrebbe potuto comprendere solo monaci celibi. In seguito, il 23
marzo 1635, papa Urbano VIII, con una bolla, cambiò la Congregazione in
Eparchia (equivalente alla nostra Diocesi), dimenticandosi
però di elevare l’Archimandrita a Vescovo, un errore mai corretto. Gli storici,
non capendo la diversità, mescolarono i monaci basiliani-uniati, nati nel XVII
secolo, con il clero ortodosso orientale (libero di esercitare il proprio culto durante
il dominio mussulmano, protetto dai Normanni che però ne incamerarono le
proprietà appartenenti all’imperatore d’Oriente, ai Patriarchi di
Costantinopoli e Alessandria e ai vescovi locali, restituendone poi l’uso ai
monaci stessi; e dagli Svevi; e invece vessato e perseguitato dalla Chiesa di
Roma dal XIV secolo in poi), presente sin dal IV secolo in Sicilia e Calabria
e, stando al loro racconto, i monaci ortodossi scoprirono nel 1168 la
venerazione alla Madonna del Graffeo.
[28] Si
tratta del clero ortodosso-uniate, che si sottomise al papa di Roma, che per
questo è lontano dalla tradizione e dalla simbologia primitiva.
[29] La
Vergine “che mostra la via”. Secondo la tradizione, la Madre di Dio Odighitria
è una delle tre icone dipinte dall'evangelista Luca quando la Vergine era
ancora in vita, e dalla Terra
Santa giunse a Costantinopoli nel V secolo.
[30] Cfr. F. Susinno, Vite
de' pittori messinesi (testo, introduzione e note bibliografiche a cura di
Valentino Martinelli), Firenze 1960 .
Susinno (1670-1739 ca.)
scrive pure che “le opere dei pittori sono state fatte parallelamente alle
opere letterarie”, il che ci fa pensare ad un massiccio “movimento” nel XVII
secolo volto ad ampliare la devozione della Lettera a Messina. Ma nulla c’è
invece né di Antonello da Messina, né, dopo di lui, di Polidoro da Caravaggio
(1500-1546), né di Michelangelo Merisi, cioè del grande Caravaggio (1571-1619)
e nemmeno dei tanti artisti che operarono in città tra il XIV e il XVI secolo.
[31] P.
Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di
Messina, Messina 1644.
L’immagine della Madre di Dio che ci presenta Samperi (e anche Buonfiglio) non
è l’icona della “Odighitria”, anche se simile; e ci presenta come icona
bizantina una pala come quella che si trova oggi sull’altare maggiore del Duomo
di Messina, ricoperta da una manta.
[32] P.
Samperi, Iconologia della gloriosa
Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina, Messina 1644, p. 539.
[33] E la gelosia di altre città dovuta al fatto che
Messina possedeva una reliquia di tale importanza, in particolare di Palermo
che obiettava sulla veridicità della lettera. Per reazione, Palermo decise di
adottare ben quattro sante come patrone: sant'Oliva, santa Ninfa, sant'Agata,
usurpata ai Catanesi e santa Cristina. La polemica infervorò per secoli tra le
due città siciliane e diverse furono le indulgenze concesse dalla Santa Sede ai
fedeli della Madonna della Lettera (Paolo V, Urbano VIII, Innocenzo X e vari
altri fino a Pio IX nel 1870) per comprovare l'autenticità del culto dei
Peloritani.
[34]
Anche su quest’ “Ordine” molto ci sarebbe da dire!
[35] Cfr.
E. Mauceri, Messina nel Settecento,
Milano 1924, pp. 82-83.
[36] Cfr.
Gallo, op. cit., libro II.
[37] S.
Greco così scrive: “I Messinesi presero a contare i secoli appunto dal giorno
della ricezione della Lettera della Madonna, come risulta da una epigrafe
esistente a Torre Archirafi, in provincia di Catania, dettata nel 1741 dal
messinese Giuseppe Natoli" (Storia
di Messina, 1979).
[38] In un libretto del 1965 composto da mons. Pantaleone
Minutoli (Preghiere alla Santissima
Vergine della Sacra Lettera), a p. 19, analogamente alle fonti principali,
si dice così: “Fu precisamente nel 1716 che Messina accoglieva con
manifestazioni pubbliche di giubilo…un dotto Basiliano, D. Gregorio Arena,
proveniente da Roma con una traduzione, debitamente autenticata, della S.
Lettera; traduzione fatta da un codice arabo, dietro interessamento dell’Abate
D. Pietro Menniti. Le cose andarono così: mons. D. Attanasio Safàr, Vescovo di
Mardin di Siria, possedeva un codice scritto in arabo, donatogli dal Patriarca
Antiacheo Ignazio, contenente la Lettera della Madonna. Allora Menniti fece
ricorso al nobile Maronita D. Giuseppe Assemanni, interprete di lingue
orientali alla Biblioteca Vaticana ed ebbe così la traduzione dall’arabo della
Lettera della Madonna: Lettera quasi del tutto simile a quella conosciuta dai
Messinesi”. Segue nel libretto del Minutoli il testo latino, identico a quello
riportato dal Mauceri (Messina nel
Settecento, Milano 1924), con l’indicazione che si tratta della traduzione
in latino, effettuata da D. Giuseppe Assemanni, del codice arabo posseduto dal
vescovo Attanasio Safàr a cui era stato donato dal patriarca antiacheo Ignazio,
portata a Messina da D. Gregorio Arena nel 1716, che è il seguente: Maria Virgo, Joachim et Annae filia, Humilis
ancilla Domini, Mater Jesu Christi, qui est ex tribu Juda, et de stirpe David,
Messanensibus omnibus salutem, et a Deo Patre Omnipotente Benedictionem. Per publicum documentum constat, Vos misisse ad Nos
Nuncios, fide magna: Vos scilicet credere, Filium nostrum a deo genitum, esse
Deum, et hominem, et post resurrectionem Suam ad coelum ascendisse; Vosque
mediante Paulo Apostolo electo viam veritatis agnovisse. Propterea vos, vestramque Civitatem benedicimus et
protegimus eam in saecula saeculorum. Data fuit haec Epistola die quinta in
Urbe Hierusalem a Maria Virgine cuius nomen supra, Anno XXXXII a Filio Eius,
saeculo primo, Die 3 Juni, Luna XXVII.
[39] S. Correnti, La
città sempre rifiorente, Catania 1976.
[40] P.
Menniti, L’antica e pia tradizione della
Sagra Lettera della Gran Madre di Dio sempre Vergine Maria scritta alla nobile
ed esemplare città di Messina, Roma 1718 (poi Messina 1720).
[41] G.
M. Perrimezzi, Difesa della Sagra Lettera
scritta da Maria Vergine ai Messinesi, Messina 1730.
[42] Viaggio degli
Ambasciatori di Messina mandati alla Gran Madre di Dio in Gerusalemme
congetturato e contemplato da mente devota della Sacra Lettera, Messina
1647 (poi 1842).
[43] Si
ricordi, ad esempio, l’opera del gesuita
Melchior Inchofer (Vienna 1585 - Milano 1648), che
insegnò filosofia e teologia a Messina e, come già
si è detto, si vide messa all’Indice dalla Chiesa la sua Epistolae B. V. Mariae ad Messanenses
veritas vindicata (1629) e chiamato a giustificare alcune delle tesi esposte nel suo
scritto: ripubblicò, così, l'opera, riveduta e corretta, nel 1631.
[44] Chi
ci rimise furono i Santi ortodossi siciliani, come San Nicandro e Santa Marina,
tolti volutamente dalla circolazione per attirare i fedeli con la favola della
Lettera. La curia messinese e i suoi storici (da Buonfiglio a Maurolico, a
Samperi, a Gallo) crearono così ciò che mai ebbero prima del Trecento: una
Messina (e una Sicilia) cattolico-romana.
[45]
Brevi strofe di metro variabile, alla base di ogni composizione poetica
liturgica.
[46]
Composizione poetica liturgica.
[47]
Insieme di inni della liturgia bizantina.
[48]
Raccolta di Passioni e Vite, disposte giorno per giorno, da leggere durante
l’Ufficiatura.
[49] Citiamo soltanto, tra i numerosi articoli, quelli di
A. Saitta, Dalla lettera il culto per
Maria, in “Gazzetta del Sud” 2/6/1978 (poi riprodotto il 3/6/1980 con la
stessa firma); di Eugenio Foti, in "Fratres in Unum" n° 1-2, 2008; e tralasciamo i tanti siti
internet che riportano il mito sempre giovandosi dell’equivoco tra culto della
Madonna e autenticità della Lettera.
[50] G.
Lipari, Cultura, politica e società nella
Messina del XVI secolo, prefazione alla Iconografia della Gloriosa Vergine
Maria…di Placido Samperi (rist.), Messina 1991, Intilla Editore.
[51] E.
Pispisa, L’Iconografia specchio di
Messina barocca, prefazione alla
Iconografia della Gloriosa Vergine Maria…di Placido Samperi (rist.),
Messina 1991, Intilla Editore.
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Ambasciatori di Messina mandati alla Gran Madre di Dio in Gerusalemme
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Messina, Messina 1644 (ristampa
Messina 1991).
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Roma 1718 (poi Messina 1720).
P. Minutoli, Preghiere alla Santissima Vergine della Sacra Lettera, Messina 1931
(ristampa 1965).
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